Economia e Lavoro

La ripresa dell’occupazione frenata da caro energia ed inflazione

 

di Natale Forlani

Il bollettino Istat sull’andamento dell’occupazione nel mese di agosto 2022 conferma l’esaurimento del ciclo della ripresa dell’occupazione che aveva consentito, nei 18 mesi precedenti, la ricostruzione del numero dei rapporti di lavoro precedente alla pandemia. Per il secondo mese consecutivo si registra una riduzione dell’occupazione (-74mila posti rispetto al mese di giugno) particolarmente accentuata per la componente dei lavoratori dipendenti (-95mila) e che viene parzialmente compensata dalla crescita di quelli autonomi (+42mila). Rispetto al trimestre precedente il segno rimane positivo (+85mila), così pure il dato relativo agli occupati su base annuale (+406mila) rispetto al mese di agosto 2021. Le novità positive sono rappresentate dalla ripresa dell’occupazione autonoma (+144mila su base annua) che dimezza le perdite registrate nel corso della pandemia riportando il numero degli occupati sopra i 5 milioni, e dal contributo alla crescita dell’occupazione femminile che risulta superiore a quello dei maschi. In termini di età, il recupero annuale si concentra sui lavoratori over 50 (+317mila) e sulla componente under 35 (+246mila). Si riduce per la componente dei lavoratori tra i 35e i 49 anni (-156mila) che sconta gli effetti del ridotto ricambio generazionale nel corso dell’ultimo decennio. L’esaurimento del ciclo della ripresa occupazionale viene confermato anche dalle rilevazioni che provengono dall’andamento delle attivazioni e cessazioni dei rapporti di lavoro per il mese di settembre anticipate dall’ Anpal, che mette in evidenza una riduzione significativa delle dinamiche dei nuovi rapporti di lavoro. Nel breve periodo questo rallentamento riflette la diminuzione, in parte prevista, dei lavoratori stagionali. Ma i dati sull’utilizzo delle casse integrazioni e delle indennità di disoccupazione, entrambi in crescita, e gli indicatori al ribasso della fiducia delle imprese e dei consumatori confermano le preoccupazioni per l’impatto sull’economia della crescita dei costi energetici e dell’inflazione. Con conseguenze che possono comportare importanti riduzioni delle attività produttive e dei servizi, persino superiori rispetto ai tagli sulle stime della crescita economica segnalati nella Nadef recentemente approvata dal Governo in carica.

La chiusura del ciclo positivo ci consegna un mercato del lavoro con aspetti positivi e negativi. Gli elementi positivi sono riscontrabili nella significativa ripresa del ricambio generazionale e di genere, destinata a proseguire nei prossimi mesi, indipendentemente dai tassi di crescita dell’economia, perché i bacini potenziali per i nuovi ingressi sono costituiti essenzialmente da giovani e donne. Quelli negativi vengono segnalati dalla consistente crescita della quota dei profili professionali ricercati dalle imprese che non trovano corrispondenza nell’offerta di lavoro. Questa quota si attesta sul 40% dei profili richiesti. Rilevante il fatto che la difficile reperibilità di questi profili venga motivata dalle imprese con l’assenza di questi profili nel mercato del lavoro. Sul versante opposto, la permanenza di un bacino rilevantissimo di persone, prevalentemente giovanin studiano e non lavorano, che non è stata ridotta in modo significativo durante il ciclo economico positivo, deve essere motivo di grande preoccupazione. Il tasso di concentrazione delle criticità evidenziate si concentra principalmente nelle aree del Mezzogiorno. Convive con livelli di assistenza e di sussidi al reddito, che hanno raggiunto livelli che non hanno precedenti, e con un esodo costante di una quota significativa dei giovani diplomati e laureati dalle regioni del Sud.

La relazione tra le politiche del lavoro messe in campo, anche con l’utilizzo delle risorse del Pnrr, è molto generica. La difficoltà di reperire risorse adeguate, persino per i profili di qualificazione medio bassi, per sostenere le attività economiche in espansione e il cronico sottoutilizzo di persone in età di lavoro risultano incompatibili con le prospettive di una crescita economica stabile. Soprattutto a questi livelli di intensità e per una Paese che registra una costante perdita della popolazione lavorativa per motivi demografici. È un tema che deve essere assunto con un approccio pragmatico e privo di retaggi ideologici da parte delle istituzioni e da tutti gli attori collettivi che a vario titolo concorrono a orientare le scelte delle persone nel mercato del lavoro.

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