Politica

La Zampata – Pd 10 segretari in 15 anni, avanti l’undicesimo

 

di Giuliano Longo

Con le dimissioni di Letta il Partito democratico è alla ricerca del suo 11° segretario in 15 anni un record di transiti da porte girevoli del grand hotel della politica italiana, ma anche di instabilità politica dalle identità cangianti. Il primo è Walter Veltroni (2007-2009)il fondatore – forte delle vittorie dell’Ulivo di Prodi-  che viene eletto alle primarie, sua creatura scimmiottando quelle vere in Usa che si svolgono con ben altri criteri. Fatto sta che ai seggi lui ci porta 3milioni di persone. Il 17 febbraio 2009 viene fatto fuori con la scusa della sconfitta elettorale alle regionali sarde, ma soprattutto per le vittorie di Berlusconi. Che lui non nomina mai, ma chiama “avversario” per non venir meno al suo aplomb anglosassone, anche se oggi i politici anglosassoni si scannano bellamente con gli avversari facendo nome e cognome senza tanti complimenti

In effetti Walter alle politiche del 2008 aveva portato a casa il 33% dei votanti a sinistra, oggi miseramente dimezzati in percentuali e voti. Via Veltroni si riapre la mai sopita guerra per bande all’interno del PD  fra la componente che fu comunista (fu mica tanto)  e quella democristiana della Margherita, che comunque non sarebbe mai entrata nel Pd se i Pds, Ds ecc avessero optato, già ai tempi della Bolognina di Occhetto, per la costituzione di un vero partito socialdemocratico.

Poco male, dirà qualcuno, vista la crisi di tutte le socialdemocrazie europee addirittura con la scomparsa del Partito Socialista Francese e la sinistra che si unisce sotto le bandiere del socialpopulista Melenchon. Le cui orme in Italia vorrebbe seguire l’avvocato del popolo con pochette, Giuseppe Conte anche se l’unico Macron all’italiana era proprio quel Draghi che lui ha contribuito a far cadere . A Walter subentra per pochi mesi sino al novembre 2009 Dario Franceschini cooptato   dall’Assemblea nazionale del Pd, nonostante una parte del partito avesse chiesto nuove primarie, ma che alle Europee  raccoglierà un 26,1% dei suffragi entrando nel gruppo  dei Socialisti e Democratici al parlamento europeo.  Altro  giro, alle successive primarie subentra Pier Luigi Bersani, leader della “ditta”, intesa come la immarcescibile (allora) componente già Comunista, che resterà in carica sino all’aprile 2013, il più longevo segretario del Pd.  Primarie nelle quali, sia detto per inciso,  oltre a Franceschini spunta il nome del chirurgo Ignazio Marino sponsorizzato da Goffredo Bettini  mentore dei già sindaci di Roma Rutelli e Veltroni, che da allora apparirà come il grande tessitore di tele romane e porterà proprio  Ignazio per due anni in  al Campidoglio.  Nel 2012, Bersani annuncia l’intenzione di candidarsi anche alle primarie – con doppio turno- della coalizione di centrosinistra “Italia. Bene Comune”, che si presenterà alle elezioni politiche dell’anno successivo. Il segretario del Pd vince contro Matteo RenziNichi VendolaLaura Puppato e Bruno Tabacci, diventando  leader della coalizione che nel febbraio 2013 otterrà la famosa “non vittoria”, con la maggioranza del Pd alla Camera, ma non al Senato.

Due mesi dopo Bersani vedrà impallinati per la Presidenza della Repubblica prima Franco Marini e poi Romano Prodi azzoppato dal voto contrario di circa 60 parlamentari del Pd di sicura fede renziana.

 

Nel casino successivo alle dimissioni di Bersani , subentra Guglielmo Epifani, già segretari della CGIl, che gestisce un turbolento interregno dal maggio 2013 al 15 dicembre dello stesso anno, quando l’astro nascente Matteo Renzi,anche lui di estrazione democristiana,  vincerà le primarie con il68 % per cento dei voti.  Matteo rottama tutto a partire dalla “ditta” criptocomunista di Bersani che insieme a D’Alema sarà costretto, in seguito, alla ingloriosa scissione dLiberi e Uguali  Articolo Uno.

Dopo la nomina a segretario, Renzi diventerà anche premier – al posto di Enrico Letta, dopo il famoso“Enrico stai sereno!”  Nel  referendum costituzionale del 2016 Renzi verrà battuto dai NO dimettendosi da segretario nel febbraio del 2017, per ricandidarsi alle primarie nel maggio dello stesso anno. Lasciando l’interregno del partito, sino a quella data, al fedele compagno di playstationn Matteo Orfini,il “traghettatore” uomo d’apparato per ogni stagione, fino a quandoRenzi fa il Bis (Renzi 2 la vendetta) nel marzo del 2018.

Ma alle elezioni politiche del2018 altra sberla con un Pd che dai fasti di Veltroni scende  18,7%, il risultato più basso sua storia. Renzi si dimetterà subito dopo il voto, già meditando la successiva scissione di Italia Viva.  Altro interregno dell’inconsistente lombardo Maurizio Martina dal Marzo al novembre 2018,ma già si profila il governo con i 5stelle caldeggiato dal grande tessitore Bettini che nel marzo 2019 piazza alla segreteria un suo uomo, Nicola Zingarettiche “per spirito  d servizio” non molla nel frattempo la poltrona di governatore del Lazio.

Ormai il governo Giallo/verde si trascina fra le intemperanze di Salvini ed ecco arrivare il Bisconte apoteosi di una alleanza strategica che travaglia ancora adesso il Pd. Con i Grillini o Senza?

“O Conte o morte”n strillavano allora Bettini e Zingaretti fino a quando Mattarella spiazza tutti e al governo ci manda Draghi il 13 febbraio 2021, invocato come salvatore della patria. Detto fatto Zingaretti, che non è certo un cuor di leone e fiuta altra guerra per bande nel suo partito, nel marzo 2021 cede la segreteria a Enrico Letta chiamato urgentemente in patria dalle “sudate carte” parigine.  Lui che in vista delle politiche di quest’anno (anticipate) parlava di “anima e cacciavite” del Pd, rifiuta l’accordo con i 5stelle traditori di Draghi e con i suoi “occhi di Tigre” non si accorge che Carlo Calenda gli sta tirando la sòla  24 ore dopo i baci e gli abbracci dell’accordo, per finire fra le braccia del non amato Renzi, che prima o poi, vedrete, lo fagociterà.   Ed eccole di nuovo le famose primarie previste per domenica 19 febbraio  2023con Letta dimissionario e un menù di candidati, alla segreteria, più o meno espliciti, di cui vi risparmiamo l’elenco non ancora definitivo. Il prescelto dalle primarie verrà incoronato nel successivo congresso del partito, ma fra i favoriti eccelle il duo Stefano Bonaccini governatore dell’Emilia Romagna in ticket  con Dario Nardella sindaco di Firenze, entrambe già renziani DOC.

Bonaccini apparentemente dovrebbe ereditare i resti della “ditta” di Bersani, ormai fuori gioco, se non fosse che proprio la sua trascorsa prossimità con Renzi, lascia pensare non più ad un partito sorretto dalla cooperazione  o sedotto dal laburismo della Cgil, ma ad un partito di amministratori e  di eletti (pochi).

In fondo questa scelta è solo il continuum di quel processo avviato con D’Alema che vide nei DS PDS  un partito di governo sorretto dal laburismo della CGIL, e dal potere economico finanziario della cooperazione (che oggi naviga per i fatti suoi) , ma saldamente aggrappato ai gangli del potere, Sulla scorta della logica: “in fondo se un partito non governa (anche consociativamente) che cavolo di partito è?” Semmai il vero problema politico  di Bonaccini sarà, se verrà eletto,  proprio quello del rapporto con Conte e i suoi 5stelle che sia pur dimezzati nei consensi alla ultime politiche, sono ormai il secondo partito nei sondaggi dopo lo straripante Fratelli D’Italia, al terzo con un Pd ridotto al 16%.

A meno che il Pd ormai quai solo di governo e poco di lotta,  viri sul neocentrismo di Azione della quale non c’è proprio da fidarsi, almeno finché Renzi si ritiene il deus ex machina della politica italiana e magari mondiale.  Poi, fra i candidati di peso c’è la giovane  Elly Schlein che unisce il buon senso emiliano a una vocazione movimentista e ad un superato femminismo, guardando ai cattolici, ai movimenti, all’associazionismo e a quei resti della sinistra sinistra in questo momento leggermente sputtanata per le vicende di un suo eletto di colore a Latina e magari anche quelle dell’ex rivoluzionario ed ex deputato europeo Panzeri già di Articolo Uno. Ma c’è di più perché la ragazza ha il consenso di un grande vecchio, politicamente inteso, quel Dario Franceschini guerriero di tante battaglie pro domo sua, ma soprattutto uomo di potere con ambizioni istituzionali.  Quel Franceschini che nei numeri pesa pur sempre 30% degli iscritti PD e che si è schierato immediatamente con la giovane candidata che solo in questi giorni prenderà la tessera del partito. Ed eccolo qua, di nuovo, il vecchio scontro fra l’anima ex comunista governativa  e l’ala ex democristiana altrettanto governista.  Scontro dal quale non scaturirà alcun rinnovamento ideale o chissà quale svolta politica (semmai solo tattica), ma il semplice riposizionamento delle correnti che nessuno vuole certamente sciogliere…magari facendo finta che non esistano.

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