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Ostia Antica (Rm), i Carabinieri trovano nel Tevere tre colonne di marmo

Ostia Antica (Rm): Carabinieri trovano nel Tevere tre colonne di marmo

Sono state trovate, sul letto del fiume Tevere nella Fossa Traiana, ad Ostia Antica (Rm), tre colonne di marmo del diametro di più di un metro e della lunghezza di due metri e mezzo.

A trovarle sono stati i Carabinieri del Nucleo Subacquei, nella prima campagna svolta dal Servizio Tutela Subacquea, di recente istituzione da parte del Parco Archeologico di Ostia Antica.

Le colonne dovrebbero risalire all’epoca imperiale, ma a dare una precisa collocazione temporale saranno successive immersioni, in cui dovrebbero essere raccolti alcuni campioni per capire quale tipo di marmo sia stato utilizzato e da dove questo provenga, in attesa del recupero completo delle colonne.

Partendo dalla foce del Tevere, i militari hanno risalito la Fossa Traiana, il canale messo a punto dagli architetti imperiali nei pressi di Fiumicino (Rm), e hanno raggiunto Capo Due Rami con due mezzi messi a disposizione dal Nucleo Carabinieri Subacquei di Roma, dove sono iniziate varie immersioni, a cui ha preso parte anche il nuovo Capo del Servizio Tutela del Patrimonio Subacqueo del Parco Archeologico di Ostia Antica, l’archeologa Alessandra Ghelli.

“Non poteva essere più fortunato il battesimo del nuovo servizio di tutela archeologica subacquea del Parco di Ostia antica. La prima campagna portata a termine dalla dottoressa Alessandra Ghelli – con l’impareggiabile aiuto del Nucleo carabinieri subacquei di Roma e del Nucleo Tutela del patrimonio culturale di Roma – ha portato all’individuazione nelle acque del Tevere, alla profondità di cinque metri, di tre grandi fusti di colonne in marmo. Pur parzialmente interrate nel letto e nell’argine, le colonne superano il metro di diametro e i due metri e mezzo di lunghezza”, ha detto il Direttore del Parco Archeologico di Ostia Antica, Alessandro D’Alessio.

“Ma come sono finite nel Tevere? Va ricordato che la Roma imperiale, nei primi secoli dopo Cristo, era senza dubbio l’approdo più ambito, il più fiorente dei mercati per i marmi provenienti dalle cave disseminate lungo tutto il Mediterraneo, dalla Spagna al Mar Nero, passando per le coste egiziane. A volte – ha aggiunto D’Alessio – una piccola parte dei carichi affidati al trasporto fluviale contro corrente lungo il Tevere, destinato alla stazione dei marmi al Testaccio, andava soggetto a incidenti di percorso e una volta finita fuori bordo diventava difficilmente recuperabile, specie se di dimensioni imponenti come le nostre colonne. Con il prossimo appuntamento con la tutela del patrimonio culturale subacqueo proveremo a prelevare piccoli campioni, per determinare il tipo di marmo e la sua provenienza. L’Arma dei Carabinieri ha già assicurato il suo contributo e insieme speriamo di giungere nel medio termine al recupero delle colonne”.

Durante le immersioni, i Carabinieri hanno trovato vari detriti come resti di scafi, carcasse di animali in decomposizione e tronchi di medie e grandi dimensioni trascinati dalla corrente delle acque.

“Le attività nel mese di maggio – ha detto Ghelli – si sono concentrate sui fondali della Fossa Traiana ovvero del canale artificiale scavato dall’imperatore Traiano per mettere in collegamento il porto, il suo porto, con il Tevere e che corrisponde all’odierno canale di Fiumicino”.

L’ambiente fluviale è fra i più difficili per le operazioni archeologiche, per i molti ed invisibili pericoli che si nascondono, anche con basse profondità, non oltre gli 8-10 metri: dopo i primi 2 metri, l’acqua assume un colore di tipo marrone-nerastro e si scurisce sempre di più con l’aumento della profondità, per cui, per i Carabinieri, è stato impossibile usufruire della vista, sostituita dal tatto per il completamento delle operazioni.

Per i Subacquei, inoltre, si è reso necessario l’uso di una zavorra maggiorata per avere una maggiore aderenza al fondo, oltre che muoversi a carponi e usare solo le mani per toccare tutto ciò che era intorno a loro.

“Sebbene i fusti di colonna siano di grandi dimensioni, trovarli e individuarli è stato difficoltoso, è stato un lavoro prettamente tattile, soprattutto per il grado di visibilità che sul fondale è pari a zero. Ma l’altra difficoltà è costituita sempre dalla presenza delle correnti, per cui quando si lavora in immersione nel Tevere ci si deve ancorare sul fondale in maniera molto solida e si deve risalire la corrente quasi come fossimo dei granchi”, ha continuato Ghelli.

Alle ricerche hanno preso parte anche i Carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale di Roma, che controllano i siti archeologici e fluviali, coadiuvati dal Nucleo Carabinieri Subacquei di Roma e dalle loro unità navali, con l’obiettivo di continuare a prevenire e contrastare i danneggiamenti e i furti del patrimonio culturale sommerso.

Sulle tre colonne sono stati eseguiti rilevamenti fotografici e descrittivi e il censimento nella Banca Dati del Comando Carabinieri Tutela del Patrimonio Culturale, in modo che possano essere immediatamente individuate qualora vengano trafugate o danneggiate.

Prima che le colonne vengano fatte riemergere in superficie per essere valorizzate e restituite al patrimonio indisponibile dello Stato, il Nucleo Tpc capitolino e i Carabinieri Subacquei provvederanno ad ispezionare la zona per evitare che vengano commessi reati.

Per fotografare i reperti e avere misure il più possibile veritiere, misure entrambe necessarie, sono state usate macchine fotografiche ad altissimo livello, appositamente impostate, che hanno permesso la registrazione di immagini di reperti che, altrimenti, sarebbero stati invisibili a occhio nudo.

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