La guerra di Putin

Putin punta a un cambio delle elite e riesuma accenti socialisti

di Giuliano Longo

“Ci son più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante ne sogni la tua filosofia.”, Parafrasando l’Amleto di Shakespeare, difficilmente, anche il più preparato osservatore dell’Occidente in guerra con la Russia, riesce capire quanto succede al Cremlino. Eppure qualcosa va succedendo e riguarderebbe proprio il sistema autocratico e oligopolistico dominante su un paese di ben 12 fusi orari, da Mosca e Vladivostok.

Fra sussurri e grida, circola la voce che Vladimir voglia dare una botta alle attuali élite russe, ricche, corrotte e inefficienti.  Probabilmente è più la speranza di minoranze nazionaliste  panrusse e di frange veterocomuniste, non tanto irrilevanti se, dai sondaggi,  il Pc raccoglie il 17% dei suffragi in quella parvenza di elezioni che è la democrazia russa. Qualche media russo fa notare che Putin sta costantemente rinviando il suo discorso all’Assemblea federale, all’élite e a tout le monde, se si esclude il breve discorso alla truppa del 2 gennaio generico e retorico. Un silenzio che potrebbe preludere a una  svolta nel 2023, fatto salvo  l’augurio di molti media occidentali per un cancro che lo affliggerebbe (cirrosi epatica esclusa perché non beve). La cosa in se non avrebbe una grande importanza se non fosse che il suo tentativo di cambiare il sistema  non circolasse, oltre che da sfacciati organi di mera propaganda russa (un po come quelli ucraini e occidentali), anche da giornali importanti come l’isvetzia. La voce che circola o forse meglio, la speranza auspicata in alcuni ambienti, è che Putin punti a una competizione economica più concorrenziale, meno fondata sulla rendita e i profitti finanziari, una sorta di capitalismo dal volto umano rispetto a quello apparentemente liberista in auge dalla caduta della Unione Sovietica nel 1992, con oligarchi e burocrati che aderiscono alle vecchie opinioni, definite “conservatrici”, che secondo fonti russe, verrebbero sostituiti da nuovi attori definiti (udite udite!) “socialisti”.  Quale sarebbe la prova dell’imminente svolta? Secondo  il noto politologo Yevgeny Satanovsky (cognome vero e non nom de plume) il segnale verrebbe dalla prima  riunione di governo nel 2023 presieduta da Putin,  quando ha rimproverato in modo  duro il vice primo ministro e ministro per lo sviluppo industrialeDenis Manturov per i risultati estremamente allarmanti nell’industria degli aeromobili. “Questo episodio – scrive il politologo -è solo il primissimo segno della sconfitta totale dell’élite russa. Quello che abbiamo visto alla prima riunione di lavoro del governo di quest’anno è solo un prologo ai cambiamenti su larga scala che il presidente Putin ha concepito e realizzerà definitivamente durante quest’anno. In effetti, proprio alla fine del 2022, non è stato vano che molti esperti e vari politologi abbiano predetto l’inizio di questo processo”. Un po’ poco per parlare di svolta, se non fosse che il termine “socialista”  parrebbe una sorta di  riverniciata in rosa a una  politica ormai messa  alle strette dalla crisi economica; un modo per segnalare al mondo la nascita di un nuovo sistema,  puntando il dito contro il  paradigma capitalista che ha portato l’umanità in un vicolo cieco. Per realizzare questo obiettivo, Putin, autocraticamente (ma anche questa è tradizione storica della Russia) avvierebbe la  distruzione delle élite, che su questo potere ci hanno campato alla grande secondo l’arrière pensèe: “io vi ho creato, io vi distruggo” se non fate i bravi . In molti media russi (soprattutto sul web) che esprimono l’opinione di parte della popolazione, circola una sorta di nostalgia del defunto sistema sovietico, con tanto di simboli, bandiere, slogan e propaganda, ben visibili fra le truppe combattenti che non esitano a issare bandiere dell’Armata Rossa. Illusioni utopiche poiché  il sistema economico russo – che non è quello cinese sia ben chiaro-  è in larga parte capitalistico, per cui nel giustificare ideologicamente la guerra in Ucraina Putin, in qualche modo modo, ha bisogno riecheggiare la gloriosa “guerra patriottica” per convincere una opinione pubblica, in parte perplessa o indifferente, se non ostile.  Tanto più che oggi il confronto avviene con quell’Occidente Collettivo  che ha piegato a suo tempo il sistema sovietico, come  dichiaratamente è anche oggi nelle intenzioni di Washington, polacchi, baltici dell’alto comissario UE Borrel e della Presidente Van der Leyen. Va tuttavia aggiunto che dopo il 1992 la Russia è stata rapinata non solo dall’Occidente ( questa è la tesi di molta stampa nazionalista e non solo comunista),  ma soprattutto dai suoi oligarchi ben addestrati alle rapine del neoliberismo globale e che nonostante tutto (sequestri di beni e soldi compresi),  se la cavano ancora alla grande avendo in mano leve del potere finanziario ed economico. Possibile allora  che Vladimir, al baricentro di questo stesso sistema, voglia colpire i suoi boiardi? Oppure gli basterà una spruzzata di destituzioni fra i siloviki della sicurezza e i burocrati di alto rango? Storicamente, dagli Tzar a Gorbachov, tentare di cambiare il sistema russo dall’alto è nel DNA di chi detiene il potere più o meno autocratico, ma c’è qualcuno come Putin, già ufficiale del KGB, che ha ancora il dente avvelenato per la demolizione dell’URSS e del suo impero. E, tanto per dire, va ricordato che il famigerato KGB, non era solo una grande banda di sofisticati spioni, ma la stessa ossatura del Partito Comunista, quindi, per  entrare nella testa di Putin, anziché invocare l’intervento di psichiatri e indovini, sarebbe proprio il caso di partire da lì.

aggiornamento la Guerra di Putin ore 15.07

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