A pochissimi giorni dalla prima chiama per eleggere il nuovo capo dello Stato, tutti sono fermi in attesa di capire chi, come e quando, farà davvero la prima mossa. Vertici, riunioni, contro-riunioni in questo momento sono utili per le foto di gruppo, ma premature per un posizionamento vero e proprio. Perché mai come in questa elezione la corsa al Colle si intreccia – nel senso più profondo del termine – con la partita per il governo. E non è un modo di dire. Dato per scontato che tutti vogliono proseguire la legislatura, al dilemma se trasferire o no Draghi al Quirinale, si aggiunge ora la volontà dei partiti di entrare con tutti e due i piedi a Palazzo Chigi. La prima tranche dei fondi del PNRR è stata spesa da Draghi e dai suoi ministri “tecnici”, con le forze politiche più spettatrici che protagoniste. Al secondo giro, che cadrà nel pieno della campagna elettorale, questo non dovrà succedere.
Motivo per cui in molti si sono convinti che il trasloco di Draghi sia utile anche per rimettere mano alla pattuglia di governo, posizionando propri uomini nei dicasteri chiave, a cominciare da quelli con il portafoglio. Perché è ovvio che al netto della retorica sulla necessità di un governo forte e autorevole, non sarebbe proprio possibile smontare l’attuale squadra dopo aver gridato all’inamovibilità di Draghi e alla sua insostituibilità, lasciandolo lì dove è adesso. Inutile nascondere che il passaggio dalla teoria alla pratica è sempre la parte più difficile. Come e con chi sostituire Draghi resta al momento il problema irrisolto. Ricostruire un equilibrio con partiti strattonati tra correnti multiple e ambizioni personali di mille aspiranti leader è un rebus estremamente complesso. Ma è chiaro che da qui a quando si farà il presidente scelte e decisioni non riguarderanno – come in passato – solo l’individuazione di un nome autorevole e prestigioso da capo di Stato, bensì l’intero pacchetto che va dal Quirinale al governo, tenendo conto – come dicevamo – anche dei bisogni della campagna elettorale che verrà.