Economia e Lavoro

Rapporto Svimez, buio profondo per il Mezzogiorno. La recessione è alle porte

 

Nel 2023 il Mezzogiorno rischia la recessione, con un Pil che potrebbe contrarsi fino a -0,4% contro il +2,9% di quest’anno. È quanto emerge dalle stime del rapporto Svimez 2022 presentato alla Camera, secondo cui l’economia del Centro-nord, pur rimanendo positiva a +0,8%, segnerebbe un forte rallentamento rispetto al +4% del 2022. Il dato medio italiano dovrebbe attestarsi, invece, intorno al +0,5% (3,8% nel 2022). Gli effetti territorialmente asimmetrici dello choc energetico, penalizzando soprattutto le famiglie e le imprese meridionali, dovrebbero quindi riaprire la forbice di crescita del Pil tra Nord e Sud. A causa dei rincari dei beni energetici e alimentari, l’incidenza delle famiglie in povertà assoluta potrebbe crescere di circa un punto percentuale salendo all’8,6%, con forti eterogeneità territoriali: +2,8 punti percentuali nel Mezzogiorno, contro lo 0,3 del Nord e lo 0,4 del Centro. Il Rapporto Svimez 2022 stima in valori assoluti 760 mila nuovi poveri causati dallo choc inflazionistico (287 mila nuclei familiari), di cui mezzo milione al Sud. Le politiche nazionali dovranno quindi assicurare continuità alle misure contro il caro energia e accelerare il rilancio degli investimenti pubblici e privati. Il rapporto sottolinea che il risultato stimato per il Sud è spiegato essenzialmente dalla maggiore diffusione nelle regioni meridionali di famiglie più numerose (numero di componenti maggiore di 3) e con minori a carico, per le quali il rischio povertà è segnatamente più elevato rispetto ai nuclei più ridimensionati. In base alle stime Svimez, l’aumento dei prezzi di energia elettrica e gas si traduce in un aumento in bolletta annuale di 42,9 miliardi di euro per le imprese industriali italiane; il 20% circa (8,2 miliardi) grava sull’industria del Mezzogiorno, il cui contributo al valore aggiunto industriale nazionale è tuttavia inferiore al 10%. Gli interventi di salvaguardia varati dal governo durante la pandemia, dal blocco dei licenziamenti, agli ammortizzatori sociali in deroga fino al Rem che si è andato ad aggiungere al Reddito di cittadinanza, “hanno tamponato emergenze sociali e occupazionali che altrimenti avrebbero assunto proporzioni drammatiche”, si legge. Gli effetti delle misure sono stati positivi anche nel mitigare le disuguaglianze: senza questi interventi le famiglie povere sarebbero state quasi 2,5 milioni, quasi 450 mila in più rispetto ai 2 milioni circa del 2020, cui corrispondono oltre un milione di persone in meno in condizione di povertà assoluta (-750 mila al Sud e -260 mila al Centro-Nord). Senza le erogazioni le famiglie in povertà assoluta sarebbero state il 9,4% anziché il 7,7%. In particolare, nelle regioni meridionali, senza sussidi l’incidenza della povertà assoluta fra le famiglie avrebbe raggiunto un picco di circa 13 famiglie ogni 100 (13,2% al Sud e 12,9% nelle Isole), che grazie agli interventi cala di 3,4 punti al Sud e 4,5 punti nelle Isole. Ma la crisi inflazionistica presenta rischi concreti per la sostenibilità dei bilanci di famiglie e imprese, con effetti più allarmanti nel Mezzogiorno. Con riferimento alle famiglie, a subire maggiormente le conseguenze dei rincari della bolletta energetica e dei beni di prima necessità sono i nuclei a reddito più basso, per i quali l’incidenza dei costi “incomprimibili” arriva a coprire circa il 70% dei consumi totali. Queste famiglie sono maggiormente concentrate nel Sud Italia.

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