Politica

Riforme, sulle pensioni si cerca l’intesa. Braccio di ferro su flessibilità in uscita 62-64 anni

E’ ormai in corso da mesi il tavolo negoziale permanente fra Governo e parti sociali che affronta anche la riforma delle pensioni. Fino a qualche mese fa la revisione del sistema previdenziale era fra le priorità, mentre le nuove emergenze economiche legate alla guerra in Ucraina hanno cambiato l’agenda del Governo. Resta il fatto che, entro fine 2022, bisogna arrivare ad una riforma delle pensioni, per evitare che dal primo gennaio 2023 si torni ai requisiti previdenziali pieni della legge Fornero, ovvero pensione di vecchiaia a 67 anni e anticipata con 42 anni e dieci mesi di contributi (un anno in meno per le donne). Il dibattito – si legge su www.pmi.it – è tornato ad accendersi in sede di audizioni parlamentari sul DEF, il Documento di economia e finanza. Secondo la Corte dei Conti è «fondamentale ridare caratteristiche di certezza e stabilità al quadro normativo, dopo gli interventi temporanei degli ultimi anni». Tradotto: bisogna fare la riforma pensioni. Con i seguenti obiettivi: dare solidità strutturale alla previdenza obbligatoria e spingere più significativamente sulla previdenza integrativa e di secondo pilastro. La posizione del Governo in materia di flessibilità in uscita è ancorata alla necessità di non uscire dal sistema contributivo. Una posizione che i sindacati sembrano aver accettato come base di partenza per definire nuove forme di flessibilità in uscita. Che, comunque, restano fra le priorità della riforma, che si concentrerà anche su altri fattori strutturali, come le pensioni dei giovani, o la previdenza complementare. Fra le ipotesi sul tavolo, nell’ambito del dibattito tra Governo e parti sociali, domina dunque la pensione anticipata a 64 anni con tetto contributivo (potrebbe essere 20 anni) e una decurtazione del 3% per ogni anno di anticipo. Esiste anche un’alternativa: la pensione in due tempi, con la quota contributiva che viene liquidata subito nell’attesa di maturare quella retributiva. Diverse le proposte che arrivano dal fronte sindacale, attivo nel tavolo negoziale con il Governo. La Cisl insiste su un percorso di riforma che vada nel senso di una maggiore equità e sostenibilità sociale, tenendo in considerazione la possibilità di accedere alla pensione in modo più flessibile, tutelando maggiormente chi svolge lavori usuranti e gravosi, rafforzando la previdenza delle donne, definendo pensione contributiva di garanzia per chi rientra interamente nel sistema contributivo ed è particolarmente penalizzato dal lavoro discontinuo, incentivando maggiormente la previdenza complementare e sostenendo il potere di acquisto dei trattamenti pensionistici in essere. La Cgil propone una flessibilità in uscita a partire da 62 anni di età o con 41 anni di contribuzione a prescindere dall’età, pensione contributiva di garanzia per i più giovani e per coloro che svolgono lavori poveri e discontinui, riconoscere le diverse gravosità dei lavori e valorizzare il lavoro di cura e delle donne, intervenire sulle pensioni in essere, anche attraverso il rafforzamento della 14esima mensilità.

Tratto da affaritaliani.it

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