Economia e Lavoro

Rincari della materie prime energetiche, più danni in Italia che in Francia e Germania. Lo studio di Confindustria

I rincari delle materie prime energetiche stanno colpendo in particolare i paesi europei, ma in confronto a Francia e Germania, l’Italia è il paese dove il caro-energia rischia di produrre i maggiori danni. A lanciare l’allarme è il Centro Studi di Confindustria in un report sull’impatto della corsa dei prezzi dell’energia sui costi di produzione.
A politiche invariate, l’incidenza dei costi energetici sul totale dei costi di produzione per l’economia italiana – spiegano gli economisti di Confindustria – si stima possa raggiungere l’8,8% nel 2022, più del doppio del corrispondente dato francese (3,9%) e quasi un terzo in più di quello tedesco (6,8%).  Ma vediamo il Report Integrale dell’Ufficio Studi di Confindustria.

 

 

  • A partire dallo scorso anno, i prezzi delle commodity energetiche sono cresciuti progressivamente, raggiungendo livelli critici già a dicembre 2021, e subendo ulteriori rialzi a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina.
  • Le dinamiche dei prezzi delle materie prime energetiche stanno colpendo in particolare i paesi europei, ma le stime del Centro Studi Confindustria rivelano come, in confronto a Francia e Germania, l’Italia sia il paese dove la crisi energetica rischia di produrre i maggiori danni.
  • In particolare, a politiche invariate pre-crisi, l’incidenza dei costi energetici sul totale dei costi di produzione per l’economia italiana si stima possa raggiungere l’8,8% nel 2022, più del doppio del corrispondente dato francese (3,9%) e quasi un terzo in più di quello tedesco (6,8%). Si amplierebbe così il divario di competitività di costo dell’Italia dai principali partner europei. E ciò avverrebbe per tutti i principali comparti dell’economia: dal settore primario, all’industria fino ai servizi.
  • Per la manifattura, la distanza si allargherebbe soprattutto nel confronto con la Francia, ma la perdita di competitività non sarebbe marginale neanche rispetto alla Germania. Al 2022 si stima che l’incidenza dei costi energetici potrebbe raggiungere l’8,0% dei costi di produzione per l’industria italiana (dal 4,0% nel periodo pre-crisi), a fronte del 7,2% per l’industria tedesca (dal 4,0%) e del 4,8% di quella francese (dal 3,9%).
  • Il maggiore impatto per le imprese manifatturiere italiane rispetto alle francesi risulta generalizzato a tutti i sotto-comparti, mentre dal confronto con quelle tedesche il quadro appare più variegato: tra quelli energivori, il danno è maggiore in Italia soprattutto nelle produzioni del legno, dei minerali non metalliferi e della chimica, mentre per la carta e soprattutto la metallurgia, che figura come il settore italiano più colpito in assoluto (+12 p.p. nell’incidenza dei costi energetici rispetto al pre-crisi), l’impatto è stimato anche maggiore in Germania.
  • A seconda delle ipotesi sottostanti la correlazione tra prezzi internazionali delle materie prime energetiche e dei costi di approvvigionamento dell’energia delle imprese nazionali, l’impatto per l’Italia si traduce in una crescita della bolletta energetica stimata tra i 5,7 e i 6,8 miliardi su base mensile; per il solo settore manifatturiero, il corrispondente aumento è stimato in circa 2,3 – 2,6 miliardi.
  • La principale ragione sottostante l’impatto così pervasivo e significativo che la crisi energetica sta avendo sull’economia italiana è legata alla forte dipendenza, molto più alta che in Francia e Germania, del nostro Paese dall’utilizzo del gas naturale, non solo come fonte di produzione dell’energia elettrica ma anche come input diretto all’interno dei processi produttivi.

 

L’effetto rincari delle materie prime energetiche: confronto tra Italia, Francia e Germania

Le stime del Centro Studi Confindustria, basate sulle variazioni dei prezzi internazionali delle materie prime energetiche attese in media per il 2022 indicano che, se l’aumento dei prezzi non dovesse rientrare nel corso dell’anno in corso, l’incidenza dei costi dell’energia sul totale dei costi di produzione (a parità delle voci di costo non legate al consumo diretto di materia prima energetica, di raffinati del petrolio e di energia) aumenterebbe per tutte le attività economiche – pur con ampie differenze settoriali – colpendo soprattutto l’Italia. Confrontando le stime per il nostro Paese con quelle ottenute per Francia e Germania, si osserva come, anche prima delle recenti dinamiche inflattive sui mercati internazionali delle materie prime, i costi energetici erano maggiori per le imprese italiane rispetto ai competitor europei. Le differenze tra l’incidenza dei costi energetici nel biennio 2018-2019 erano relativamente contenute rispetto alla Germania (0,6 punti percentuali) ma già ampie rispetto alla Francia (1,6 punti percentuali). Con l’aumento recente dei prezzi delle commodity energetiche, già nel 2021 la distanza nell’incidenza dei costi energetici dell’Italia dalla Germania aveva superato un 1 punto percentuale, e di ben 2,6 punti dalla Francia. Nel 2022, con le ulteriori infiammate dei prezzi acuite dal conflitto Russia-Ucraina, il divario è stimato raggiungere +2,1 p.p. rispetto alla Germania e +4,9 p.p. rispetto alla Francia. Il maggior onere sostenuto per i costi energetici dall’Italia, in proporzione al totale dei costi sostenuti, è inoltre generalizzato a tutti i comparti dell’economia, riguardando tanto il settore primario, quanto il manifatturiero e il terziario. Concentrandosi sulla manifattura, il divario competitivo dell’Italia è soprattutto nel confronto con la Francia, mentre la distanza dalla Germania cresce in misura molto più contenuta, rimanendo comunque non marginale.  Al 2022 si stima che l’incidenza dei costi energetici potrebbe arrivare a rappresentare l’8,0% dei costi di produzione per l’industria italiana (dal 4,0% nel periodo pre-pandemico), a fronte del 7,2% per l’industria tedesca (dal 4,0%) e del 4,8% di quella francese (dal 3,9%). Il minore impatto stimato dell’aumento dei prezzi delle materie prime energetiche sui costi energetici delle imprese osservato in Francia rispetto all’Italia è generalizzato a tutti i settori della manifattura. Confrontando invece il dato italiano con quello tedesco il quadro appare variegato: tra i settori energivori, infatti, la corsa dei prezzi delle materie prime energetiche si stima abbia un impatto maggiore per la manifattura italiana soprattutto nel settore del legno (con una variazione nell’incidenza dei costi di +6,3 punti percentuali rispetto al pre-pandemia, contro +2,3 p.p. tedesco), della gomma-plastica (+5,6 p.p. vs. +3,2 p.p.), dei minerali non metalliferi (+8,8 p.p. vs. +7,3 p.p.) e della chimica (+4,5 p.p. vs +3.6 p.p.), mentre per la metallurgia, nonostante figuri come il settore italiano più colpito in assoluto dalla crisi energetica, il rincaro sarebbe anche maggiore in Germania (+12,4 p.p. vs. +14,4 p.p.). La manifattura tedesca si stima più colpita di quella italiana anche nel macrosettore carta e stampa (+5,0 p.p. vs. +5,7 p.p.). Nel complesso quindi, nonostante i rincari delle materie prime esercitino un impatto consistente sui costi energetici di tutti i settori e per tutti i paesi, il sistema-Italia emerge come il più colpito. In termini monetari, secondo le stime del Centro Studi, questo impatto si tradurrebbe in una crescita della bolletta energetica italiana compresa – a seconda delle ipotesi sottostanti le stime – tra i 5,7 e 6,8 miliardi di euro su base mensile, ovvero in un maggior onere compreso tra 68 e 81 miliardi su base annua circa. Guardando al solo settore manifatturiero l’aumento dei costi energetici è quantificabile tra i 2,3 – 2,6 miliardi mensili, ovvero tra i 27,3 – 31,8 miliardi su base annua. Per la Germania l’aumento dei costi energetici è stimato tra 7,7 e 8,0 miliardi mensili (91,9 – 95,7 annui) per il totale economia e in circa 3,7 -3,8 miliardi mensili (45,9 – 47,2 annui) per la sola manifattura, mentre per la Francia le stime sono comprese tra 1,7 e 1,8 miliardi mensili (20,2 – 21,8 annui) per il totale economia e circa di 0,6 miliardi mensili (7,5 miliardi annui) per la sola manifattura. Questa eterogeneità tra paesi europei si può spiegare innanzitutto con il diverso mix di fonti energetiche utilizzate, sia quelle domandate direttamente dalle imprese per realizzare la propria attività economica sia quelle acquistate indirettamente attraverso la fornitura di energia. In particolare, sulla base delle elaborazioni dei dati Eurostat, il gas naturale risulta la fonte prevalente di consumo in Italia sia per il settore della distribuzione di energia (49% circa nel 2019) – che poi la eroga sotto forma di gas ed elettricità agli altri comparti dell’economia – sia direttamente per la manifattura (76%). Al contrario, il peso del gas naturale risulta marginale come fonte di consumo per il settore energia sia in Germania (15%, contro il 44% del carbone) sia in Francia (4%, contro l’83% del nucleare), mentre per il manifatturiero dei due paesi, il peso pur significativo (68% e 67%) è molto inferiore a quello italiano. Ciò implica che variazioni dei prezzi del gas “fuori scala”, come quelle che stiamo osservando in questi mesi e che continuano a trainare al rialzo il prezzo dell’elettricità, hanno quindi un impatto proporzionalmente maggiore nel caso delle filiere industriali italiane rispetto a quelle tedesche e francesi. Per l’Italia, inoltre, bisogna considerare che nel corso degli ultimi anni il ricorso da parte delle imprese nazionali a contratti a lungo termine per l’approvvigionamento del gas naturale è diminuito a favore di maggiori acquisti sul mercato a pronti, e ciò ha aumentato l’esposizione degli operatori alle variazioni delle quotazioni spot di questa materia prima energetica.

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