Si scrive Roma Data Platform ma si legge Smart City. Un binomio indissolubile, nell’era del digitale, che consentirà di riprogettare il nostro modo di vivere. La crescita sempre maggiore e il sovraffollamento a cui sembravano destinate le nostre città prima dell’emergenza CoViD e le inevitabili alterazioni all’ecosistema dovute al consumo sempre maggiore di suolo e di energia, determinato anche dall’elevato numero di servizi erogati, si sono rivelati difficilmente conciliabili con la necessità di avere centri urbani più flessibili e resilienti, rispetto alle sfide che impone il futuro. È quindi divenuto sempre più indispensabile prevedere uno sviluppo sostenibile. E per farlo la parola d’ordine è essere (o diventare) “smart”. Da Tokyo a Boston passando per Barcellona, Copenaghen, Stoccolma e Singapore, in tutto il mondo sono tante le città che hanno scelto di diventare “intelligenti”. Ma per attuare questo cambiamento è indispensabile adottare un approccio integrato che superi i limiti dei sistemi verticali e che si basi sulla condivisione di dati, infrastrutture e conoscenze. Senza la governance dei dati, non c’è città intelligente. Per essere smart, infatti, le città non possono prescindere dalla raccolta e dalla gestione dei dati. In gioco c’è il miglioramento delle capacità decisionali e di programmazione sia delle Pubbliche Amministrazioni sia degli stakeholder per una lettura dei fenomeni urbani sempre più accurata e puntuale in grado di mettere al centro il cittadino, con i suoi bisogni e le sue necessità, e costruire servizi a misura di city user. Proprio la governance dei dati, intesa sia come capacità di renderli disponibili e condividerli con i vari attori delle città smart, sia come strumento per ricavare informazioni utili è uno dei punti fondamentali delle Linee di indirizzo approvate dalla Giunta Capitolina in vista del Piano Roma Smart City.