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Trenta anni fa lo sbarco a Bari di 30mila albanesi in fuga verso la speranza italiana

Era l’8 agosto del 1991 quando al porto di Bari si affacciò la nave mercantile Vlora, proveniente da Durazzo e con a bordo circa 20mila albanesi in fuga dal loro Paese di origine. La fotografia del molo di levante del capoluogo pugliese, con una “mattonella umana” formata da uomini, donne e bambini in attesa di conoscere il loro destino, a trent’anni di distanza resta una delle immagini più iconiche dei fenomeni migratori tra le due sponde del mare Adriatico. Il legame che unisce questi due popoli è più vivo che mai nonostante gli anni trascorsi, tanto da indurre la Regione Puglia e l’Albania a indire una serie di eventi per ricordare lo sbarco. Il 23 luglio è stata celebrata una commemorazione straordinaria nella Basilica di San Nicola, mentre dal 5 all’8 agosto la città di Durazzo ospiterà una mostra allestita dalla fotografa Eva Meksi. Albanese di nascita, Eva aveva solo 24 anni quando si imbarcò sulla “Dolce nave” alla volta dell’Italia, dove vive da allora lavorando come interprete e mediatrice culturale. La Vlora era una nave mercantile battente bandiera albanese che doveva il suo nome alla città di Valona, nel sud-ovest del Paese. Il 7 agosto 1991, di ritorno da Cuba con un carico di zucchero di canna, venne assalita durante le operazioni di sbarco. Le 20mila persone che salirono a bordo, costrinsero il comandante Halim Milaqi a salpare verso l’Italia. Come prima destinazione venne indicata la città di Brindisi, ma una volta arrivati il viceprefetto Bruno Pezzuto convinse il capitano a fare rotta su Bari. Il tempo di percorrenza tra le due città, venne impiegato per allertare le forze dell’ordine e organizzare centri di accoglienza. Giunti nel capoluogo pugliese, vista l’impossibilità di gestire le operazioni di accoglienza al porto, i migranti furono sistemati temporaneamente nello Stadio della Vittoria. Dopo circa 48 ore, la maggior parte di loro venne rimpatriata con l’inganno: furono organizzati aerei e traghetti che, secondo le informazioni diffuse agli albanesi, li avrebbero smistati in diverse città italiane. Secondo alcune stime approssimative dell’epoca, furono circa duemila le persone che riuscirono a scappare ed evitare l’espulsione, trovando rifugio negli spazi verdi cittadini o nelle case dei residenti.

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