Politica

Vertice Draghi–Conte: il futuro dell’esecutivo resta traballante

 

Lo spettro di una crisi si è aggirato per i palazzi romani finché Giuseppe Conte non ha dichiarato tregua. Il Movimento 5 Stelle resta al governo. Nessuna crisi. Che non significa annullare gli attriti, anzi, è semmai un modo per rimetterli sul binario della politica, dopo i deragliamenti tolleranti del cessate il fuoco tra i partiti che vige da più di un anno.

In effetti, l’incontro chiarificatore con Mario Draghi somiglia più a un ultimatum. La permanenza in maggioranza, più che una promessa, è un aut aut: o si cambia o siamo fuori. Lo ha detto il leader stellato, che al premier non ha dato rassicurazioni: “nessuna cambiale in bianco. La comunità a gran voce mi chiede di portare il M5S fuori. Il futuro della nostra collaborazione è nelle risposte che avremo”.

Risposte a domande che sono state consegnate a Draghi in un documento a nome di tutta la comunità del Movimento 5 stelle, che, a detta di Conte, ha “accumulato un forte disagio politico”. Rispetto, infatti, è la parola che rimbalza più spesso sul tavolo delle trattative. “Abbiamo subito attacchi pregiudiziali, mancanze di rispetto, invettive intese a distruggere la nostra stessa esistenza”, si legge nel documento, condiviso sul sito dei Cinque Stelle. “Abbiamo lavorato sempre per un confronto sereno sui problemi. Non è stato questo l’atteggiamento di tutte le forze politiche di maggioranza”.

Serve quindi un “segnale di forte discontinuità”, ed è per questo che il leader pentastellato ha chiesto al premier di poter rimettere le mani sul volante, e di guidare l’esecutivo verso traiettorie più in linea con le posizioni del Movimento — di fatto, dettandogli l’agenda. Il testo presentato a Draghi si sviluppa in nove punti, che portano all’attenzione reddito di cittadinanza, salario minimo, decreto dignità, aiuti a famiglie e imprese, transizione ecologica, Superbonus 110%, cashback fiscale, intervento riscossione, clausola legge di delegazione. “Non permettiamo più che il reddito di cittadinanza sia messo quotidianamente in discussione”, ha detto Conte, difendendo a spada tratta il provvedimento simbolo del Movimento 5 Stelle. E ha aggiunto: “La crisi in atto richiede un intervento straordinario, ampio e organico, a favore di famiglie e imprese. 200 euro di bonus non servono. Va tagliato il Cuneo fiscale. Dobbiamo intervenire per i lavoratori e sul salario minimo”.

Necessario un piccolo appunto anche sul rifiuto di inviare nuovi armi all’Ucraina per scopi difensivi. L’ex premier ha giustificato il disallineamento con la posizione del governo in nome di uno spiccato spirito di pacifismo, scomodando persino il Papa: “Vogliamo rivendicare con sempre maggiore forza le nostre idee e le nostre convinzioni contro la guerra, per la pace e il disarmo, espresse, da ultimo, con infinito coraggio e troppa solitudine da Papa Francesco. Vogliamo più che mai, e molto più di altri, essere e contare in Europa e mantenere la nostra storica alleanza dentro la Nato. Il punto è come si sta in queste sedi: con dignità e autonomia, consapevoli di essere una delle prime democrazie al mondo, oppure si svolge il ruolo di terminali passivi di decisioni assunte da altri?”.

Si torna quindi al motivo dello strappo finale tra il Movimento e Luigi Di Maio. Come si ritorna alla parola rispetto. Secondo Conte, Draghi avrebbe dovuto richiamare Di Maio quando si esprimeva contro il Movimento. “Ho rappresentato a Draghi”, ha detto Conte, “lo sconcerto della nostra comunità quando, a fronte di un ministro degli Esteri che più volte è andato in tutti i tg a dichiarare che, in un momento così delicato, il M5S stava attentando alla sicurezza nazionale, non ha trovato occasione e tempo per intervenire e richiamare il suo ministro che, palesemente, esercitava in modo strumentale i suoi doveri di ufficio, gettando evidente discredito, immotivatamente, sul M5S”. Spetterebbe ora al premier dare al Movimento “le ragioni per restare”.

Da Palazzo Chigi, clima più disteso. L’incontro con Giuseppe Conte è stato definito “positivo e collaborativo”. Per dir la verità, molti dei temi sollevati nel faccia a faccia si identificano in una linea di continuità con l’azione governativa. Resta però lo scontro aperto sul decreto Aiuti, che contiene 23 miliardi a sostegno di imprese e famiglie, e sul quale il governo porrà la questione di fiducia. Una corsa contro il tempo, visto che il testo deve essere convertito in legge entro il 16 luglio e manca ancora il via libera del Senato. Il voto finale sul decreto si terrà lunedì alle 14. Tra le parti più spinose, il Superbonus, una delle misure bandiera del Movimento. La fiducia su questo punto potrebbe ribadire la precarietà della permanenza del M5S nel governo.

Governo che è tirato da entrambe le maniche. Da Draghi “aspettiamo risposte entro luglio”, ha detto Conte. Un’altra scadenza imposta all’esecutivo dai partiti della maggioranza: l’altra, data dalla Lega, è per settembre. “Abbiamo deciso di appoggiare il governo perché era necessario non lasciare il Paese nelle mani di Pd e 5 Stelle che lo stavano sfasciando”, aveva detto Matteo Salvini in un’intervista al Corriere della Sera. “Ora quei dirigenti e militanti che credevano in Draghi e in questo governo col perseverare degli errori di Speranza e Lamorgese, di Bianchi e Giovannini, mi chiedono di rifletterci bene… Draghi deve sapere che ci sono temi su cui non siamo disposti a transigere”. E anche sul decreto Aiuti, il centrodestra non è disposto ad apportare modifiche solo per soddisfare una richiesta dei 5 Stelle.

La fine dell’estate sarà dunque il momento decisivo per capire se ci saranno elezioni anticipate o se Draghi riuscirà a portare i resti del suo esecutivo fino alla naturale conclusione della legislatura, nel 2023. Il voto sul decreto Aiuti ci darà un indizio.

FA.DE.

aggiornamento Governo ore 15.02

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