Primo piano

Al San Martino di Genova no privacy per prelievi a oncologici

 L’ospedale: “Sala progettata così, valutiamo se mettere divisori”

 

Niente privacy per i pazienti oncologici dell’ospedale San Martino di Genova che, per le proprie terapie, devono effettuare prelievi del sangue al primo piano dell’Ist. “I prelievi vengono fatti in una stanza, quattro persone alla volta, senza alcuna tendina o paratia, con la porta aperta sul corridoio dove si accalcano tutte le altre persone in attesa”. A denunciarlo all’agenzia Dire è una paziente che, più volte, ha segnalato il proprio disagio al policlinico. “Vado ogni mese a fare un prelievo- racconta- ogni mese chiedo che almeno venga chiusa la porta, ma mi viene risposto di no. Mi dicono che la porta deve rimanere aperta per consentire agli addetti del reparto di controllare anche il corridoio. Allora, ogni volta, faccio un reclamo all’ospedale”. Risposta confermata formalmente dallo stesso policlinico nella corrispondenza con la paziente e ribadita anche alla Dire: “La sala prelievi è stata progettata e costruita come un open space, dove sono state previste più postazioni non separate. Abbiamo fatto richiesta agli uffici competenti di valutare la possibilità di ampliarla e ridistribuire le postazioni di prelievo e installazione di sistemi divisori atti a garantire la privacy di ogni paziente durante il prelievo- spiega il nosocomio- durante l’attività, la porta rimane aperta per permettere una più agevole entrata e uscita dei pazienti e agli operatori di controllare l’arrivo dei pazienti chiamati e sorvegliare il corridoio”. Il problema, però, aggiunge la donna, si estende anche al corridoio d’attesa. “Davanti alla porta della sala prelievi- spiega- si accalcano le persone perché è dove ci sono gli unici due schermi che indicano il numero di chi deve entrare a fare I prelievi. Sugli altri schermi del reparto ci sono solo i numeri per altri ambulatori. Quindi tutta la gente si concentra lì e spesso non ci sono neanche abbastanza sedie per tutti, con il risultato che persone malate rischiano di dover attendere in piedi e un sacco di gente può vedere dentro la sala prelievi, con la porta che rimane sempre aperta”. Su questo, il San Martino precisa che “sono disponibili per i pazienti, oltre alle sedute antistanti la sala prelievi, due sale d’attesa regolarmente provviste di monitor per la chiamata dei pazienti, che si aggiornano in relazione alla progressione del percorso di ogni paziente, ma restano vuote nonostante l’invito ai pazienti e agli accompagnatori ad accomodarsi”. Il problema privacy, va precisato, riguarda solo il centro prelievi del primo piano dell’Ist, a cui ha accesso chi deve seguire una terapia. Al centro prelievi del piano zero, invece, dove si rivolgono i pazienti per le analisi di controllo, le prestazioni vengono erogate una persona alla volta, con porte chiuse. “Una volta- racconta la donna- rispondendo alle mie lamentele di mancanza di riservatezza, un operatore sanitario mi ha pure detto che non è che una donna possa fare la terapia in burqa. Poi, per fortuna, l’ospedale si è scusato per la risposta, invitando gli operatori a maggior rispetto della dignità delle persone. Ma per il resto non è cambiato niente”. Così, può capitare, ad esempio, che donne che hanno dovuto subire l’asportazione del seno si debbano spogliare davanti a tutti, uomini compresi. “Siamo pazienti con esenzione ‘048’- quella per chi ha ricevuto la diagnosi di un tumore e ha diritto alla gratuità delle prestazioni sanitarie, ndr- ma è come se facessimo il prelievo in coda alle poste: credo ci siano gli estremi per un intervento del garante della privacy”, commenta con amarezza la paziente. Se, ogni tanto, le cose migliorano è solo per l’iniziativa di qualche singolo operatore sanitario. “L’ultima volta, dopo l’ennesima richiesta, sono riuscita a fare il prelievo in una stanza separata, al chiuso perché ho trovato un’infermiera sensibile e disponibile- conclude la donna- mi ha detto che anche lei ha sollevato il problema all’ospedale, ma si è sentita rispondere di stare zitta, altrimenti tutti i pazienti avrebbero voluto fare il prelievo in un luogo separato e sarebbe stato un bel problema”.

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