Politica

Cingolani: “Non sono un fan del nucleare ma entro il 2025 bisogna dire basta alle centrali a carbone”

Quando si parla di energia è necessario non avere preclusioni e tenere a mente che l’obiettivo principale è uno: eliminare il carbone. “Io non sono un fan del nucleare, ma occorre studiare ogni possibilità”, è la linea del ministro della Transizione Ecologica, Roberto Cingolani, che, ospite alla maratona digitale ‘Digithon’, precisa di non essere “fan di nessuna tecnologia”. Da scienziato, però, ricorda che “il punto è studiare” e “non avere paura di quello che non si capisce”. A questo proposito “l’ideologia non aiuta. Dobbiamo essere molto laici nei confronti delle soluzioni tecnologiche”. Bisogna ricordare che la chiusura delle centrali nucleari “è avvenuta per via dell’incidente di Fukushima sull’onda anche un po’ emotiva, però la cosa più urgente in questo momento è chiudere le centrali a carbone entro il 2025”, precisa il ministro, facendo riferimento a un documento di intellettuali e scienziati tedeschi che chiede di allungare un po’ l’utilizzo del nucleare proprio per favorire la crescita delle rinnovabili (che chiedono tempo). Sulle rinnovabili, il piano italiano è nei prossimi 9 anni più che raddoppiare la potenza elettrica prodotta da eolico e solare: circa 70 gigawatt, 70 miliardi di watt di impianti. Per compiere questo “sforzo enorme”, afferma Cingolani, bisogna installare “decine di chilometri quadrati di impianti solari, pale eoliche alte 200 metri onshore e offshore, ci sono problemi di permessi ambientali e paesaggistici” oltre all’esigenza di dare vita a grandi infrastrutture da collegare alla rete. Per avere una buona percentuale di rinnovabili nell’energy mix sono necessari 10 anni nei quali “la transizione deve essere supportata: serve un mix con il gas e altre forme di energia”. Il gas, ad esempio, è il vettore energetico della transizione: “È vero – precisa – che è fossile ma produce meno Co2 del carbone ed è quello che garantisce, in combinazione con le rinnovabili, la continuità della rete”. Le riserve di gas per l’inverno sono al minimo: questa situazione non interessa l’Italia “che ha le riserve di gas all’80% ma altri Paesi del nord Europa ad esempio hanno problemi”. L’aumento del costo del gas, in parte dipende dal nervosismo di mercato, di domanda e di offerta, ma in parte è dovuto anche a una questione geopolitica importante come quella della costruzione del gasdotto Nord Stream in Germania, sul quale la Russia ha gli occhi puntati. “Una serie di fatti – sintetizza Cingolani – tengono il prezzo del gas alto, che pesa per l’80% sulla bolletta, il restante 20% dipende dall’aumento del costo della CO2, quindi la transizione ecologica pesa per il 20% sulla bolletta”.

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