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Ospedali sotto assedio per contagi influenzali e da Covid. I medici: “Senza fragilità inutile andare in Pronto Soccorso”

Aumentano i ricoveri Covid sia nei reparti sia nelle terapie intensive, con i casi sottostimati del 50%, e cresce l’attenzione per l’influenza – detta australiana – il cui picco dovrebbe essere nelle feste di Natale. E intanto gli esperti lanciano l’allerta a non scambiare le due malattie, confondendo i sintomi e trattandoli in modo non adeguato dal punto di vista farmacologico. Con il rischio che le prossime festività natalizie vedano non solo un picco di casi di influenza, ma anche, come si teme negli Usa, di una nuova ondata di Covid. Intanto gli ospedali sono sotto assedio e la resistenza del Ssn viene ancora una volta messa a dura prova. Secondo Fabrizio Pregliasco, virologo e professore all’Università Statale di Milano, “il picco dell’influenza sarà nel periodo natalizio quando si arriverà a 150mila casi giornalieri, per un totale stagionale di 10 milioni di casi a Capodanno. Farà dei morti, come sempre. Il range delle persone che vengono a mancare per l’influenza vanno dai 5mila ai 20mila”. L’influenza di stagione, caratterizzata da una febbre molto alta, sintomi respiratori e qualche volta gastroenterici, si sta infatti rivelando più aggressiva e pericolosa di quanto fosse possibile prevedere. Ad allarmare la Federazione italiana dei medici di medicina generale sono i dati della curva dell’epidemia influenzale, che mostrano una diffusione del virus enorme ed estremamente precoce. “Mai negli ultimi 15 anni abbiamo dovuto confrontarci con un picco influenzale paragonabile a quello che stiamo registrando in queste settimane”, afferma il segretario generale Fimmg Silvestro Scotti. “È vitale che i soggetti a rischio scelgano al più presto di vaccinarsi, altrimenti rischiamo di dover vivere mesi drammatici”, aggiunge. Gli stessi medici prevedono che di questo passo si raggiungerà il picco addirittura prima di Natale. “Se il Covid ci ha insegnato che la fase di picco è quella oltre la quale inizia poi la discesa, è anche da considerare che scavallare la ‘vetta’, se non ci si protegge con il vaccino, potrebbe avere un prezzo molto alto in termini di vite”, prosegue Scotti. Che conclude: “Guardando ai dati attuali, infatti, l’andamento fa pensare a un picco assai superiore a quello delle epidemie passate”. Fabio De Iaco, presidente della Società italiana di emergenza urgenza, ha lanciato un appello ai cittadini proprio alla luce della situazione già critica e in vista di settimane che andranno peggiorando: “Per sintomi influenzali che durano da tre giorni, a meno che non si abbiano particolari fragilità , è sconsigliabile rivolgersi al pronto soccorso”. “Spesso – spiega – persone adulte, che non trovano risposta sul territorio, prese dal panico per una febbre alta o mal di testa che durano da tre giorni, si rivolgono al pronto soccorso. Ma così facendo vanno incontro a lunghe attese e rischiano di contagiarsi con altri virus. Il medico di famiglia è la figura più adatta cui rivolgersi, tenendo anche conto che la febbre in caso di influenza, è normale che possa durare cinque giorni”.

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“Remdesivir è un farmaco antivirale per il trattamento del Covid-19. Come tutti i farmaci di questo genere, utilizzati anche per il trattamento di altre infezioni virali, è molto efficace se somministrato precocemente nel corso della malattia”. Lo ha spiegato il professor Michele Bartoletti, del Dipartimento di Scienze Biomediche, Malattie Infettive dell’Università Humanitas di Milano, intervenuto in occasione dell’incontro dal titolo ‘Covid-19: il profilo del paziente a due anni dall’inizio della pandemia e il ruolo di remdesivir nel percorso di cura’, organizzato nell’ambito del XLIII Congresso Nazionale della Società Italiana dei Farmacisti Ospedalieri (SIFO), che si è di recente concluso a Bologna. “Questo- ha spiegato il professor Bartoletti- perché la malattia si caratterizza tipicamente in una fase di replicazione del virus molto attiva e precoce, per poi sconfinare verso una fase infiammatoria. Quando diamo l’antivirale nella fase infiammatoria abbiamo pochissimo effetto, mentre quando lo somministriamo nella fase di replicazione attiva del virus questo farmaco blocca immediatamente sia la progressione della malattia sia il danno che il virus fa al nostro organismo”. È per questo, quindi, che i farmaci antivirali devono essere utilizzati molto precocemente: “Lo stesso sta accadendo con il Remdesivir- ha proseguito ancora Bartoletti- che inizialmente era stato sviluppato e usato per il trattamento della polmonite, quindi quando già il paziente era in una condizione avanzata; questo farmaco dava dei risultati buoni ma non straordinari, mentre adesso che lo utilizziamo molto precocemente, entro 5 giorni dall’inizio dei sintomi, blocca la possibilità di essere ospedalizzati o di morire per la malattia dell’87%. Quindi ha un’efficacia davvero molto importante”.Ma come fanno i pazienti ad accedere a questo antivirale? “Sostanzialmente bisogna tenere in considerazione alcune cose- ha risposto il professor Bartoletti interpellato dalla Dire- l’antivirale, e in generale questi trattamenti, devono essere indirizzati ad una certa popolazione, cioè a chi veramente ne avrà beneficio. Se siamo di fronte ad un ragazzo giovane e vaccinato, che sta bene e non ha patologie concomitanti, probabilmente il ruolo dell’antivirale è minimo; se abbiamo invece una persona anziana con comorbidità, come per esempio patologie cardiovascolari, obesità, insufficienza renale o epatica o altri problemi di salute, tra cui una malattia oncologica in corso di trattamento o una immonudepressione, allora questo farmaco risulta estremamente efficace”. Persone con tali caratteristiche “dovrebbero contattare il proprio medico di base all’inizio dei sintomi- ha aggiunto l’esperto- perché lui sarà in grado di indirizzare il paziente verso il trattamento. Alcuni farmaci antivirali possono essere prescritti direttamente dal medico curante, altri invece, soprattutto se c’è bisogno di un farmaco come il Remdesivir (che si utilizza per via endovenosa), devono essere indirizzati verso centri specializzati in questo tipo di trattamento. Quasi tutte le regioni e gli ospedali si sono attrezzati in questo senso, attraverso ambulatori specifici o day hospital”. Nell’ambito del simposio è emerso quindi come l’utilizzo degli antivirali, in particolare di Remdesivir, abbia ridotto l’impatto del Covid-19 dal punto di vista clinico, gestionale ed economico per i sistemi sanitari regionali e nazionale. “Lo scorso anno abbiamo condotto un’analisi di farmaco-economia sulla riduzione degli accessi in terapia intensiva e dei decessi legati all’impiego di Remdesivir. Oggi- ha spiegato il professor Alessandro Signorini, Direttore Health Economics Evaluation (HEE) Research Unit della Saint Camillus International University of Health and Medical Sciences (UniCamillus), che ha coordinato lo studio- presentiamo l’aggiornamento delle stime fino a settembre 2022. Questo secondo modello, inoltre, include anche i pazienti ad alto rischio di progressione a malattia severa, che ora possono essere trattati con il farmaco antivirale”. I risultati, ha proseguito Signorini, indicano una “riduzione di 5.000 ospedalizzazioni, di 1.500 accessi in terapia intensiva e di 1.000 decessi, con un risparmio per il Servizio sanitario nazionale di 51 milioni di euro in un periodo di 20 settimane. Il messaggio principale è che, al di là dei risparmi e dell’outcome clinico, bisogna considerare il rapporto costo-opportunità: ridurre le ospedalizzazioni per Covid-19 significa evitare che vengano realizzati percorsi specifici e far risparmiare ulteriori risorse legate alla gestione delle strutture, oltre che migliorare la sicurezza e la salute della popolazione”. Virtuosa, intanto, è stata la gestione e la distribuzione del Remdesivir durante la pandemia nella Regione Emilia Romagna. L’Emilia Romagna- ha fatto sapere durante il suo intervento all’incontro la dottoressa Brunella Quarta, Dirigente Farmacista e Responsabile Centro Regionale Riferimento Antidoti, AOU di Ferrara- ha adottato un modello centralizzato della gestione delle scorte di Remdesivir, che è stato il primo farmaco antivirale ad essere autorizzato per il trattamento della malattia da Covid-19, sfruttando la rete regionale antidoti a modello ‘hub and spoke’ e identificando il Centro di riferimento nazionale antidoti della Regione come deposito unico a livello regionale”. Il Centro, che è attivo dal 2011, coordina una rete di referenti medici e di referenti farmacisti che “collaborano per soddisfare quella che è la necessità degli antidoti a livello regionale- ha spiegato la dottoressa Quarta- e, allo stesso modo, hanno collaborato per soddisfare il fabbisogno del trattamento terapeutico durante la pandemia da Covid-19”. In particolare, sono stati “oltre 50 i farmacisti ospedalieri che hanno collaborato e che collaborano alla gestione della distribuzione dei farmaci antivirali e quindi del Remdesivir” ed è stata proprio “la solidarietà della rete, insieme all’effettiva collaborazione- ha sottolineato l’esperta- che hanno consentito di rendere tempestivamente disponibile il farmaco a garanzia del raggiungimento dell’obiettivo terapeutico, per un trattamento rapido dei pazienti affetti da Covid-19”. Sarebbe per questo “auspicabile” che tutte le Regioni italiane adottassero un modello ‘hub and spoke’, perché soprattutto in una situazione di emergenza (come può essere una pandemia ma anche una intossicazione) permette di “soddisfare il fabbisogno antidoto” e di “avere un acceso rapido alle terapie per i pazienti che ne necessitano”, ha concluso la dottoressa Quarta.

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