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RICORDI: Simone Camilli, giornalista eroe di guerra morto a Gaza 7 anni fa

Tel Aviv- La storia di Simone Camilli, cronista e inviato di guerra in Israele per la Associated Press, si è conclusa tragicamente sette anni fa sulla Striscia di Gaza. Un’esplosione improvvisa lo uccise, seminando morte e distruzione. Noi oggi vogliamo ricordare al Capo dello Stato Sergio Mattarella il sacrificio di Simone, perché la sua storia rimanga per sempre da esempio per tutti quei giovani che da grandi sognano di fare i giornalisti nelle aree più calde del mondo.

DI PINO NANO

Il giornalista rimasto ucciso quel giorno a Gaza era ancora un ragazzo. Aveva appena compiuto 35 anni. Si chiamava Simone Camilli, ed era nato a Roma il 28 marzo 1979.

Sono passati sette anni da allora, volati via.

Era esattamente il 13 agosto 2014, quando le agenzie internazionali diedero per prime la notizia della morte, su un campo di guerra, di un giovane giornalista italiano. La mattina di quel 13 agosto 2014, a Beit Lahya, siamo a Nord della Striscia di Gaza, Simone Camilli viene investito in pieno dall’esplosione di una bomba, proprio mentre stava filmando con la sua cinepresa le operazioni di un gruppo di artificieri alle prese con ordigno inesploso e sganciato qualche giorno prima da un F16 israeliano.

Il ricordo dei testimoni oculari è ancora dettagliatissimo.

Quella mattina, in un giorno di tregua dichiarata tra Hamas e l’esercito Israeliano, Simone aveva deciso di documentare le conseguenze delle bombe rimaste inesplose sul terreno, che però continuavano occasionalmente a uccidere o a mutilare persone. Insieme con l’interprete, Ali Shehda, Abu Afash e un fotografo dell’AP, Hatem Moussa, aveva allora deciso di seguire con la propria telecamera una squadra di artificieri della polizia di Gaza nelle loro operazioni di routine quotidiana. L’intento di Simone era quello di filmare da vicino un disinnesco vero e proprio di bombe già disattivate, e quindi innocue, accumulate a meno di cento metri dalla stazione di Polizia di Beit Lahia. Ma una deflagrazione improvvisa lo ha ucciso.

Con lui moriranno anche Abu Afash, e quattro poliziotti. Rimase invece ferito Hatem Moussa.

“Spesso – ricorda Pierluigi Camilli, suo padre-si dice che con il tempo tutto passa, tutto riprende il suo ritmo. Mai cosa è stata più banale e idiota come questa . Si rimane marchiati nell’ anima per sempre. Non passa notte e giorno senza che il pensiero torni la ‘ a quell’ anonimo campo dove tutto si è compiuto . Una cosa che mi consola è la certezza che Simone ha fatto quello che veramente ha cercato in questa professione”.

Simone aveva scelto per il futuro della sua vita il mestiere più intrigante e più bello del mondo, quello del giornalista, ma a differenza di suo padre, allevato e cresciuto alla prestigiosissima scuola del TG1, dopo aver trascorso gran parte della sua vita a insegnare giornalismo nelle aule universitarie di mezza Italia, lui invece, Simone aveva preferito il giornalismo per immagini.

Ma per far questo, non hai altra scelta. Non puoi stare seduto davanti ad una scrivania ad aspettare che la notizia ti venga portata sul tavolo o ti arrivi dal cielo. In questo caso, la notizia te la devi andare a cercare da solo, e spesso anche nei posti più caldi e più maledetti del mondo.

Così è stato per lui. E un giorno, la mattina del 13 agosto 2014, a Beit Lahya, a Nord della Striscia di Gaza, Simone viene investito in pieno dall’esplosione di una bomba. L’esplosione è devastante, improvvisa, inaspettata, lacerante sotto tutti i profili, e alla fine delle operazioni di soccorso la polizia locale conta accanto al corpo senza vita di Simone altri cinque cadaveri.

Giornata nera per il mondo del giornalismo.

Simone diventa così, per la storia, il diciassettesimo giornalista morto durante il conflitto nella Striscia di Gaza, e l’ultimo dei 66 cronisti di guerra uccisi nel mondo nel 2014.

“Gli studi sull’ islam, la voglia di capire fino in fondo la società israeliana . Tutto al servizio del giornalista che racconta i fatti . Simone – ricorda suo padre- non era un militante . Osservava e raccontava le sofferenze di una terra . L incapacità di due popoli di incontrarsi di mettersi in gioco per una accettabile convivenza . Quando ci fu l attentato alla scuola rabbinica a Gerusalemme lui fu uno dei primi ad accorrere e mi raccontò il suo sgomento la sua incredulità. Ma Simone era sempre alla ricerca di gente nuova da raccontare . Così nel suo viaggio da Israele a Ierevan, durante la crisi con la Russia, passo per strade di montagna e incontro ‘ gente nomade e isolata. Ebbene lui preferì pernottare loro ospite anche quella volta per conoscere , capire .Ma aveva una attenzione tutta particolare per i bambini e le loro sofferenze. nelle immagini girate negli ospedali e nei suoi speciali su Gaza sono loro i protagonisti . Forse aveva sempre davanti agli occhi la sua piccola Nour. Mi chiedi qualche particolare. Posso solo raccontarti questa sua voglia di essere là dove avvenivano i fatti . È la sua assoluta convinzione di non essere in quel momento parte ma di essere testimone per raccontare per far conoscere realtà a volte ignorate o dimenticate . Una cosa mi ha fatto sempre sorridere . Simone aveva amici sia israeliani che palestinesi. Mi diceva: non è facile metterli insieme ma io, aggiungeva li frego con un bel piatto di spaghetti …”.

Naturalmente per il giornalismo italiano il 13 agosto di quel 2014 diventa giornata di lutto nazionale, ma è Papa Francesco che trova il modo migliore per ricordare al resto del mondo che la “morte di Simone non appartiene solo al dolore degli italiani”.

Il Papa, quella mattina in volo verso Seul, informato della morte del giovane reporter italiano dal Portavoce della Sala Stampa Vaticana, padre Federico Lombardi, ai giornalisti in volo con lui e in attesa di salutarlo dà la notizia che gli è appena arrivata con questi toni: “Vi ringrazio della vostra presenza qui, ma dopo aver sentito Padre Lombardi vi faccio una proposta: restiamo in silenzio e dedichiamo una preghiera a Simone Camilli, uno dei vostri che oggi se ne è andato in servizio. Queste sono le conseguenze della guerra! E’ così”.

Nei mesi successivi alla partenza da Roma per Israele di Simone, suo padre Pierluigi non faceva altro che parlare ai colleghi di lui, delle cose belle che Simone aveva già fatto nel cuore del deserto israeliano, delle interviste esclusive che Simone aveva realizzato in Medio Oriente, dei rapporti internazionali che come producer aveva maturato vivendo tra Tel Aviv e Gerusalemme, ma anche della dimestichezza con cui Simone raccontava quelle zone di guerra, e della magia che questo suo lavoro aveva regalato alla sua vita.

“In Italia non avrebbe mai potuto fare nulla di tutto questo”, ripete Pierluigi Camilli-Sai tutto sembra aver seguito una sua logica misteriosa. Tutto è cominciato con la malattia di Giovanni Paolo II. Con la visione della basilica di San Pietro. E tutto è finito laggiù in una terra che ancora viene definita santa”.
Oggi la foto di Simone è ancora su tutti i siti internet del mondo.

Suo padre e sua madre, le sue sorelle, la compagna della sua vita, ne siano fieri. Perché un cronista che muore sul campo, così come è accaduto a Simone Camilli, con tanto di cinepresa a tracolla e cellulare pronto a trasmettere e smistare quelle immagini in ogni parte del mondo, è più che un eroe.

I funerali si tengono qualche giorno più tardi la sua morte nella chiesa di Pitignano, e al momento del congedo finale suo padre Pierluigi confessa ai cronisti presenti in Chiesa quello che forse nessuno si sarebbe mai aspettato da un padre distrutto dal dolore per la morte di un figlio: “Con Simone avevo parlato l’altro giorno. Gli avevo detto di stare attento, ma mi aveva risposto di non preoccuparmi, che la situazione era tranquilla. Aveva questo lavoro nel sangue, e oggi io sono fiero di lui”.

È la riconciliazione finale tra padre e figlio, padre e figlio di nuovo insieme, fortissimamente più vicini che mai, il padre maestro di giornalismo, il figlio allievo prediletto del maestro. Nessuno dei due, forse, avrebbe mai messo in conto che prima o poi sarebbe potuto accadere anche a loro.

Quel giorno, dopo le prime indiscrezioni di stampa che arrivano in Italia dalla Striscia di Gaza, per altro anche confuse e frammentarie, la conferma ufficiale della morte di Simone arriva proprio dal Ministro degli Esteri Federica Mogherini: “La morte di Simone Camilli – sottolinea il Ministro della Difesa, esprimendo il suo cordoglio ai familiari e agli amici del professionista ucciso – è una tragedia, per la famiglia e per il nostro Paese tutto”. Ma aggiunge: “Ancora una volta è un giornalista a pagare il prezzo di una guerra che dura da troppi anni e per la seconda volta in pochi mesi piangiamo la morte di ragazzi impegnati con coraggio nel lavoro di reporter”.

“Se ve ne fosse stato bisogno, l’uccisione di Simone -dice ancora Federica Mogherini- dimostra ancora una volta quanto urgente sia arrivare a una soluzione finalmente definitiva del conflitto in Medio Oriente”.

La morte di Simone i diventa così anche icona della tragedia internazionale che da troppi anni insanguina questa parte lontana del mondo, e la Striscia di Gaza ridiventa ancora una volta, suo malgrado, cuore tragico e nevralgico del mondo mediorientale.

La sua storia professionale di cronista parte proprio dalla laurea, nel 2006, in Scienze storico-religiose, presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università La Sapienza di Roma, dove Simone chiude il suo ciclo di studi con una tesi in Islamistica, su Sayyid Qutb e “il rapporto tra suicidio e martirio nell’Islam contemporaneo”. Inizia a fare il giornalista collaborando con l’agenzia di stampa cattolica Asia News, 2005-2006, sono gli anni in cui il suo nome compare tra gli autori del “Rapporto sulla libertà religiosa nel mondo 2005”, presentato alla Camera dei deputati. E in quello stesso anno, inizia la sua intensa collaborazione con Associated Press.

Dopo aver coperto uno degli eventi di maggiore rilevanza mediatica di quell’anno, la morte di Papa Giovanni Paolo II, nel 2006 si trasferisce nella sede di corrispondenza dell’Associated Press di Gerusalemme, dove nel dipartimento video dell’agenzia ricopre prima il ruolo di redattore e poi di coordinamento editoriale tra la redazione Europe & Middle East e quella centrale di Londra.

Sono anni di intenso lavoro per lui. Negli anni successivi Simone segue la Seconda Guerra del Libano (2006), racconta le conseguenze devastanti degli attacchi missilistici dei militanti palestinesi di Gaza nel sud di Israele (2006 – 2008), filma la visita del Presidente americano Bush in Giordania in occasione dei colloqui con il primo ministro iracheno Nouri al-Maliki (2006), e gli scontri tra le due principali fazioni politiche palestinesi Fatah e Hamas (2006). Ma sono anche suoi i reportage sullo scambio di prigionieri tra Israele e Libano (2008), sull’incidente della Gaza Flotilla (2010), sull’avanzata di ISIS in Iraq e l’emergenza profughi (2014), e sui tre diversi interventi militari Israeliani contro la Striscia di Gaza tra il 2008 e il 2014, le operazione “Cast Lead”, “Pillar of Defence”, “Protective Edge”.

Ma nella sua vita non c’è soltanto il Medioriente. Simone viene chiamato a seguire e a coprire anche numerosi eventi anche in Europa, le Elezioni presidenziali in Francia del 2007, le celebrazioni per la Dichiarazione di indipendenza del Kosovo del 2008, la Seconda guerra in Ossezia del Sud nel 2008, e il Naufragio della Costa Concordia all’Isola del Giglio nel 2012. Poi, a metà del 2014, dunque pochi mesi prima di morire, Simone si trasferisce definitivamente in Libano all’ufficio di corrispondenza dell’AP a Beirut. Sempre sul campo, sempre nel cuore delle crisi: dall’operazione dell’esercito israeliano ‘Colonna di nuvola’, nel dicembre 2012, allo scambio di prigionieri per il rilascio del soldato israeliano Gilad Shalit, 2011; dall’arresto dell’ex comandante serbo-bosniaco Radko Mladic, maggio 2011, fino al conflitto in Georgia, fra agosto e ottobre del 2008.

“Quando l’agenzia-ricorda ancora suo padre Pierluigi- lo mandò a seguire i campionati di calcio in Europa fece salti di gioia . Era veramente contento. In fondo era sempre un giovane ragazzo romano grande tifoso della Lazio. È dura ma andiamo avanti. Un passo dopo l’altro. Il destino ci ha affidato Nour e anche Ylva che sentiamo quasi tutti i giorni e ci ringrazia sempre di tutti i ricordi che insieme custodiamo”.

Noi oggi vogliamo ricordarlo ancora una volta Simone Camilli, ma soprattutto perché in un momento in cui nel Paese si riapre un dibattito, mai sopito in realtà, sul ruolo e sull’importanza dell’Ordine dei Giornalisti che qualcuno vorrebbe anche poter abolire per sempre, è giusto ricordare a noi stessi che nel mondo ci sono ancora cronisti coraggiosi, e spesso indifesi, giovani inviati che tengono alto il nome della categoria, e che pagano con la vita la loro grande passione per il giornalismo.

“Sarebbe come tradire noi stessi il non volere, o il non sapere, ricordare questi nostri eroi moderni”, dirà Carlo Verna, Presidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei giornalisti nel corso di una cerimonia che Carlo ha prepotentemente voluto qualche anno fa nei saloni di rappresentanza dell’Ordine dei Giornalisti Italiani, presente per intero la famiglia di Simone.

“Oggi – ricordava in quella occasione il Presidente Carlo Verna- ricordiamo Simone che è stato un “giornalista-giornalista”- come fu descritto Giancarlo Siani nel film Fort Apache- un giornalista di quelli che tenacemente intendono esercitare il proprio mestiere sul campo. Uno di quei tanti colleghi che hanno dato la loro vita per fare fino in fondo questo nostro mestiere. Uno di quelli che devono essere per tutti noi uno spunto e una guida morale, per poter esercitare sempre al meglio il nostro lavoro”.

Il marito di mia figlia Gloria che si chiama Ben Sion, vuol dire “figlio del Sole”, e che è nato e cresciuto sul confine israeliano proprio a due passi da dove Simone Camilli è rimasto sepolto dal sogno stesso che aveva coltivato per anni, e che a vent’anni era al fronte in guerra anche lui, oggi Ben Sion mi dice sorridendo: “Pino, credimi, non serve piangere o disperarsi, dillo a suo padre. Ora lui è felice davvero, e magari ci guarda tutti sorridendo dall’alto del deserto”.

Le dune del deserto, per loro che sono figli di Israele- me lo ha insegnato Ben Sion la prima volta che mi ha portato a Gaza- è molto più che il “nostro” Paradiso cristiano.

Caro Pierluigi tra poco tornerò di nuovo anch’io in Israele, e ti prometto che andrò ad inginocchiarmi là dove Simone è stato investito dalla violenza dell’esplosione di quel giorno, solo per salutare e onorare ancora una volta il tuo piccolo – grande –figlio-eroe.

Vorrei potergli raccontare, una volta per tutte, che la mia vecchia Olivetti 22, che tanti anni fa gli avevo prestato per il suo esame di stato, rimarrà ora sulla mia scrivania per sempre. Confesso, avevo deciso di darla via, come tante altre cose inutili della mia vita passata, ma dopo la tragedia di Gaza e dopo la sua morte ora non posso più farlo.

Semmai, dirò che l’ha usata un giovane eroe del giornalismo italiano, e così non avrà davvero più prezzo!

E con immenso rispetto verso il Capo dello Stato, e con l’ammirazione che abbiamo sempre avuto per lui, ci piacerebbe che un giorno, prima che scada il suo settennato e prima di lasciare definitivamente per sempre il Quirinale, il Presidente Sergio Mattarella si ricordasse di Simone Camilli, che trovasse un momento soltanto della sua intensa giornata di lavoro per ricordarlo, per citarne il nome, per ricevere e salutare magari il suo papà e la sua mamma, e assegnargli una onorificenza di Stato che cristallizzi per sempre il sacrificio di questo straordinario giornalista ed eroe italiano, ricordiamo ancora morto sette anni fa in una zona di guerra. Ci scusi davvero, signor Presidente, se abbiamo osato tanto.

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