Il noto attore e autore del libro “Turno di notte” in dialogo con gli studenti della Facoltà di Medicina e chirurgia dell’Università Cattolica: “Un bravo infermiere è quello che riesce ‘a tenere compagnia’ alla vergogna. I malati hanno soprattutto bisogno di vicinanza”. “Questa esperienza mi ha insegnato e mi ha segnato: è stata davvero forte sul piano professionale e umano. L’ospedale era l’ultimo luogo nel quale sarei voluto entrare: ho capito dopo che ciò che ho vissuto era talmente importante e bellissimo che andava sicuramente raccontato”, così il noto attore, ora anche scrittore, Giacomo Poretti, autore del libro “Turno di notte – Storia tragicomica di un infermiere che avrebbe voluto fare altro” (edito da Mondadori). Un racconto autobiografico, serio, emozionante e divertente, della sua esperienza come infermiere per undici anni all’ospedale di Legnano, ripercorso in un pomeriggio emozionante e vivace trascorso nell’Aula Vito del Gemelli in dialogo con tanti studenti del Corso di laurea in Infermieristica del campus di Roma e della Facoltà di Medicina e chirurgia dell’Università Cattolica. All’incontro presenti per i saluti iniziali il professor Rocco Bellantone, Preside della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Cattolica e il professor Stefano Margaritora, presidente del Corso di Laurea in Infermieristica. Il nuovo ruolo nella professione, il rapporto tra medico e infermiere, soprattutto il ritorno ai valori fondanti la professione dell’infermiere con la cura della persona al centro sono stati i temi del dialogo, molto partecipato da tutti gli studenti presenti in aula. Il dialogo con Giacomo Poretti è stato stimolato dalle incalzanti e colloquiali domande e dai commenti del professor Antonio Lanzone, presidente del Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia, e della professoressa Lucia Zaino, direttrice delle attività didattiche professionalizzanti del Corso di Laurea in infermieristica, e alcuni studenti della Facoltà di Medicina e Chirurgia. Le conclusioni dell’incontro sono state affidate al dottor Lorenzo Cecchi, direttore della sede di Roma dell’Ateneo. “La vita in corsia è molto seria, spesso preoccupante; in reparto non c’è troppo spazio per ironia e autoironia: molte situazioni sono molto difficili da raccontare. Come il turno di notte dell’infermiere, per esempio, con la preoccupazione costante che succeda qualcosa di difficile da affrontare – ha raccontato Poretti, che ha frequentato la scuola per infermieri nel 1977, è stato prima ausiliario, poi infermiere nel reparto di Chirurgia plastica della mano e in quello di Traumatologia e Ortopedia e, quindi, caposala, in Neurochirurgia. “Il mestiere dell’infermiere – ha continuato – come quello del medico, fa vivere il concetto di ‘umiliazione’; un passaggio necessario per acquisire l’umiltà nel rapporto coni il malato: proprio per ciò che si deve fare ogni giorno, si è costretti a ridimensionare il proprio ego”. “Che consiglio ci darebbe per la nostra futura professione?”, ha chiesto a Poretti uno degli studenti. “Un bravo infermiere – ha risposto l’attore-autore – è quello che riesce a tenere ‘compagnia alla vergogna’, nei momenti più difficili che vive nel letto di ospedale la persona malata”. “È possibile esprimersi nei turni di lavoro in corsia con ironia e comicità?” – ha chiesto un secondo studente. “Nella mia esperienza – ha risposto Poretti – i malati avevano soprattutto bisogno di essere accompagnati, anche con la compagnia del silenzio. I malati in reparto hanno soprattutto bisogno di persone che stiano loro realmente accanto”. Un pomeriggio di ricordi, sorrisi e umanità, quello vissuto al Gemelli che Giacomo Poretti ha snocciolato chiedendo aiuto a Sandrino, l’alter ego dell’autore, “Brandina”, il medico di turno restio a farsi svegliare nel cuore della notte, il paziente che ‘si attacca’ al campanello perché gli “formicola” una gamba e il paziente che soffre la solitudine e vorrebbe fare una partita a briscola. Accanto agli aneddoti di 11 anni di professione di infermiere, Poretti ha raccontato la dimensione di conforto, di cura e di speranza che è la parte più autentica e affascinante della vita dell’infermiere: “Nel tempo più duro della pandemia – una delle domande più sentite degli studenti – quando si è fermato anche il mondo dello spettacolo, ha mai pensato di tornare in reparto?” “In quel periodo – ha concluso Giacomo Poretti – mi sono trovato più volte a pensare: finalmente ci si accorge di quanto sia impegnativa, dura e importante la professione dell’infermiere nella vita dell’ospedale, non solo al tempo del Covid, ma nel lavoro in corsia di ogni giorno”.
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