Politica

Bonaccini-Schlein: quella del PD è una sfida identitaria

 

di Fabiana D’Eramo

 

Stefano Bonaccini al 45% mantiene il vantaggio su Elly Schlein (25%). E’ quanto emerge dal sondaggio Emg sulle primarie del Pd effettuato tra gli elettori dem. C’è spazio anche per Paola De Micheli, che verrebbe scelta dal 9%, mentre il 6% voterebbe un altro candidato, diverso dai tre in campo. Il 15% non risponde. Ma è chiaro che le primarie Pd del 19 febbraio prossimo, per eleggere il nuovo leader democratico, somigliano già a un derby emiliano.

La sfida decisiva è tra i due colleghi rivali, presidente e vicepresidente della Regione Emilia-Romagna. Tra pragmatismo (lui) e idealismo (lei). Tra la corrente moderata, ma di polso – il governatore emiliano, negli anni di Letta e Zingaretti, è sempre stato l’altra voce, quella concreta di chi amministra sul campo – e quella più progressista, ecologista, supportata dall’ “area più a sinistra del partito” – Orlando, Provenzano, Speranza. Tra il giocare la carta dell’esperienza e il puntare tutto sull’intraprendenza della nuova generazione che, uscita dal partito con la sinistra di Beppe Civati, si è ripresa la tessera dem solo pochi giorni fa, alla Bolognina, circolo simbolo della sinistra per la svolta di Occhetto che sciolse il Pci per farlo confluire nel Pds.

Strade diverse “che comunque non sono diverse rispetto all’obiettivo comune che abbiamo”, dice Bonaccini, “che è quello di dare una mano al Partito Democratico a rigenerarsi e a risollevarsi”. Nei salotti televisivi, incalzati a chiarire su quale sia, davvero, la differenza tra i due, se non altro perché hanno guidato un’intera Regione insieme, non sanno che cosa rispondere. Bonaccini insiste che non lo sentiremo mai criticare “Elly, di cui sono amico”, il che è già un passo in avanti, in un partito che si è sempre fatto la guerra da dentro. Lei nemmeno accetta la vecchia dicotomia riformista/radicale, d’altronde entrambi sono d’accordo che il Pd abbia l’obbligo di “costruire l’alternativa per il paese in un momento in cui al governo ci sono le destre nazionaliste identitarie”, conferma Schlein, “che già dimostrano di non avere risposte rispetto alle difficoltà che tante e tanti cittadini stanno vivendo”.

Entrambi gli sfidanti, infatti, assieme a De Micheli, hanno partecipato al sit-in piazza Santi Apostoli a Roma contro la Manovra del governo Meloni. Indignati dai tagli alla sanità pubblica e alle politiche sociali, hanno iniziato la manifestazione con un abbraccio. Bonaccini, a dirla tutta, riapre una finestra di dialogo con Terzo polo e Cinque Stelle, “subito, a difesa della sanità pubblica, contro i tagli” contenuti nella manovra. Ma va tenuto conto che Schlein abbia dato di recente a Renzi  “il merito di aver spinto me e tanti fuori dal Pd con una gestione arrogante, incapace di fare sintesi delle diversità”. E ancora: “con le sue scelte scellerate ha lasciato un campo di macerie”.

Sorge il dubbio che il “nuovo” Pd si ponga, primo fra tutti, l’obiettivo di capire se il centrosinistra possa ancora avere a che fare con il renzismo. Bonaccini o Schlein, entrambi hanno a che fare con l’urgenza di ricucirsi addosso un’identità. E fare i conti con le macerie. Ripartire dai “territori”, dai sindaci e dalle associazioni, per ridisegnarsi i contorni, provare a darsi un centro, dopo i fallimentari risultati degli ultimi anni in cui nonostante il posto sicuro all’esecutivo, non ne sono stati comunque i capofila. Ed ecco perché tutto questo parlare su dove andare, con chi, dicendo cosa.

Entrambi i candidati sono sicuri di voler cambiare, farla finita con le correnti e rilanciare l’identità del Pd, dice Bonaccini, e ricostruire, rinnovare, cambiare, insieme alla comunità democratica, dice Schlein. Posto che un progetto nato per unire due tradizioni, post-comunista e post-democristiana, un grande partito con dentro di tutto, possa dire di aver mai avuto solide basi identitarie da cui partire.

Per molto ha funzionato – il Partito Democratico ha governato per quindici anni. Ma la filosofia per cui tutto tiene, alla fine, dovrà scontrarsi con i risultati del settembre passato. Soprattutto quando le scelte in campo di alleanze lo abbiano colto in pieno delirio trasformista, senza punto di partenza e uno di arrivo. Bonaccini e Schlein lo sanno, o pare che lo sappiano. Mentre uno parla di crescita e merito, e l’altra di diseguaglianze, clima e precarietà, il tema dell’identità pressa sempre come un mal di testa nelle tempie. Il Partito Democratico sarà diverso o non sarà affatto.

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