Covid

Draghi mette i paletti: “Pronti ad intervenire se la pandemia dovesse aggravarsi”

(Red) “A più di un anno dall’esplosione della crisi sanitaria, possiamo finalmente pensare al futuro con maggiore fiducia. La campagna di vaccinazione procede spedita, in Italia e in Europa. Dopo mesi di isolamento e lontananza, abbiamo ripreso gran parte delle nostre interazioni sociali. L’economia e l’istruzione sono ripartite. Dobbiamo però essere realistici. La pandemia non è finita. Anche quando lo sarà, avremo a lungo a che fare con le sue conseguenze”. Queste le parole del Premier Mario Draghi, nel corso di un suo intervento all’Accademia dei Lincei. dobbiamo fronteggiare l’emergere di nuove e pericolose varianti del virus. Rimaniamo pronti a intervenire con convinzione nel caso ci fosse un aggravarsi della pandemia tale da provocare danni all’economia del Paese”. “La crisi economica iniziata lo scorso anno non ha precedenti nella storia recente – rimarca il premier – Si è trattato di una recessione causata in gran parte da decisioni prese consapevolmente dai governi. Per prevenire una diffusione catastrofica del virus abbiamo dovuto imporre restrizioni che hanno portato alla chiusura di molti settori dell’economia. Non avevamo alternative. La tutela della salute e la protezione dell’economia non erano obiettivi tra loro in conflitto. L’alta circolazione del virus e il rischio del collasso del sistema ospedaliero rendevano impensabile la ripartenza di consumi e investimenti. La politica sanitaria doveva avere la priorità”. “A quel punto – nota Draghi – la sola scelta possibile era tra una recessione e una depressione. Potevamo fare in modo che il maggior numero possibile di aziende superasse la fase di restrizioni e rimanesse sul mercato, sopportando così una recessione severa, ma temporanea. Oppure avremmo potuto non farlo, come alcuni sostenevano all’inizio della pandemia, non avendone ancora compreso la gravità. In quel caso, l’improvvisa frenata di consumi e investimenti avrebbe causato un’ondata di fallimenti e una depressione profonda. Avremmo avuto la chiusura di intere filiere produttive, con conseguenze disastrose per il futuro non solo dell’economia, ma dell’intero Paese. Il costo della scelta di avere una recessione invece di una depressione è stato il debito”. “E’ molto probabile – aggiunge – che, per diverse ragioni, questa fase di crescita del debito, pubblico e privato, non sia ancora terminata”. Nel suo intervento, il presidente del Consiglio sottolinea infatti come l'”aumento del debito di questi mesi è stato deliberato e soprattutto auspicabile. La pandemia è un disastro naturale. Molte imprese che hanno dovuto fermarsi, non lo hanno fatto per colpa loro, ma perché glielo ha imposto il governo. Avevamo noi, come collettività, un interesse a mantenere intatta la loro capacità produttiva e a preservare i loro posti di lavoro. L’unico modo per tenere le aziende sul mercato era dare loro fondi per compensare almeno in parte la perdita di fatturato e aiutarle a preservare i posti di lavoro. Lo abbiamo fatto tramite sussidi e garanzie sui prestiti bancari”. “Dall’inizio della crisi – ricorda Draghi – abbiamo esteso alle imprese garanzie per 208 miliardi di euro e sostegni per quasi 100 miliardi. I sussidi hanno comportato un aumento del debito pubblico. I prestiti bancari garantiti hanno comportato un aumento del debito privato. L’aumento nel debito totale rispetto al 2019 è una misura molto significativa del costo economico di questa pandemia, senza contare l’impatto sulle diseguaglianze. Alla fine di quest’anno, il rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo in Europa sarà cresciuto di circa 15 punti percentuali rispetto alla fine del 2019. In Italia, secondo le stime della Commissione Europea, il debito pubblico aumenterà dal 135% del Pil, al 160%. Si tratta di un incremento maggiore rispetto a quello della Grande Crisi Finanziaria e a questo si è anche aggiunto un aumento consistente del debito privato”.

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