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  Il Gup sulla caserma Levante dei Carabinieri di Piacenza: “Zona franca di prassi degenerate”. Il danno all’immagine dell’Arma

“I protagonisti di questo processo erano quasi tutti carabinieri semplici e appuntati, uomini che ormai avevano sdoganato un modo di agire al di fuori delle regole, in una zona franca dove erano ammesse prassi degenerate”. E’ la chiosa al termine delle 488 pagine della sentenza con cui il gup di Piacenza, Fiammetta Modica, ha motivato le condanne per i carabinieri della stazione Levante. La condanna più pesante, a dodici anni, riguarda per l’appuntato Giuseppe Montella, considerato il leader del gruppo della caserma sequestrata nell’estate 2020. Pene più basse erano state inflitte, a luglio, agli altri componenti del gruppo: otto anni all’appuntato Salvatore Cappellano, sei all’appuntato Giacomo Falanga, tre anni e quattro mesi al carabiniere Daniele Spagnolo e quattro all’ex comandante di stazione Marco Orlando. “La figura di Montella, detto Peppe, si staglia e si diversifica da quelle dei coimputati per la maggiore caratura criminale, avendo ormai asservito in modo irreversibile la divisa a scopi dichiaratamente illeciti, del tutto confliggenti col suo ruolo di pubblico ufficiale”. Montella era pienamente coinvolto in attività di spaccio, “tanto da svolgere in prima persona il ruolo di corriere della droga ed essersi precostituito una rete di ‘cavallini’ (…)” e così facendo “giungeva a strumentalizzare la sua divisa, non solo per agevolare il trasporto dello stupefacente dal milanese a Piacenza”. Ma anche per recuperare durante il periodo dell’emergenza sanitaria, droga da destinare ai ‘suoi’ pusher,  all’insaputa degli altri militari. Montella dunque, ribadisce il gup, era diventato “criminale di spessore, uomo scaltro ormai radicato nel contesto delinquenziale piacentino, ove la divisa era assurta a strumento di scambio e rassicurazione per i suoi sodali”.

Erano stati tutti al centro di un’ordinanza di custodia cautelare che, per il giudice, “senza alcuna enfasi può definirsi storica” e che “ha rappresentato la risposta ferma dello Stato a fronte di un sistema di illegalità diffuso e consolidato che coinvolgeva, a vario titolo, la quasi totalità dei militari in servizio”. Solo due, infatti, furono quelli ritenuti estranei. Il resto, invece, rappresentava, “un gruppo compatto e coeso” e “aduso a pratiche illegali quali falsi, peculati, truffe e atti di violenza e sopraffazione, celati dietro la divisa, consumati con l’arroganza e la convinzione che le vittime non avrebbero avuto voce, sia per le condizioni di emarginazione sociale in cui spesso versavano sia per il credito goduto dai responsabili in quanto appartenenti all’Arma dei carabinieri”. La sentenza poi evidenzia come quanto successo a Piacenza abbia creato un danno all’immagine dell’Arma, “appannandone” il patrimonio morale e la sua percezione collettiva. Quello della Levante era un “sistema” contrassegnato “da arroganza, violenza e sistematica violazione delle regole”, con un “modus procedendi rodato e condiviso dagli imputati, seppur con diverse declinazioni e gradi di colpevolezza”. Ma chi non soggiaceva a queste logiche o non condivideva questi metodi “veniva ostracizzato o relegato ad attività di scrivania”.

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