Esteri

Il Papa in partenza per il Congo, l’appello alla Fnsi: “C’è un buco nero dell’informazione, il mondo apra gli occhi”

 

 

Rompere il silenzio sui conflitti armati in Congo, un Paese vittima della propria stessa ricchezza, coltan, cobalto e “terre rare”, sulle quali vogliono mettere le mani governi e multinazionali dell’industria elettronica: è l’appello che arriva da Roma, a pochi giorni dalla visita apostolica a Kinshasa di Papa Francesco. Le voci sono quelle di scrittrici, rifugiati, attivisti, di origini congolesi o italiane, insieme, in rete con oltre cento ong e realtà della società civile. E che l’incontro sia ospitato nella sede della Federazione nazionale della stampa italiana (Fnsi) non è un caso: a segnarlo subito è un monito e un incoraggiamento ai giornalisti, affinché diano spazio agli “ultimi” e illuminino anche le “periferie dell’informazione”. Rilanciando così il messaggio di Francesco, il Papa del Sud, “giunto quasi dalla fine del mondo”. a guerra fallisce sempre, non risolve nulla, distrugge, uccide e fa tornare al punto di partenza; e le rivendicazioni iniziali, che sembravano giustificarla, sono consumate, inghiottite e ridotte al nulla: parola di Micheline Mwendike, scrittrice e attivista, fondatrice del movimento Lucha in Repubblica democratica del Congo. La sua testimonianza è stata resa durante un incontro nella sede della Federazione nazionale della stampa italiana (Fnsi), a pochi giorni dalla partenza di Papa Francesco per Kinshasa in programma martedì prossimo. “Arrivai in Italia nel 2015, era gennaio, e un giorno mi spaventai per degli spari” ha ricordato Mwendike: “Quando mi fu detto che era in corso una caccia ai cinghiali rimasi incredula, pensando che la guerra la portavo con me, che faceva parte ormai della mia identità”. L’attivista, di base in Emilia-Romagna, è autrice di un libro dal titolo ‘La guerre a échoué’, in italiano “la guerra ha fallito”. Pagina dopo pagina si susseguono ricordi personali, anche da bambina, risalenti agli anni Novanta, quando le persone sfollate già cercavano rifugio nella città di Goma, il capoluogo della provincia congolese del Nord Kivu a ridosso del confine con il Ruanda. “Penso all’incontro con una ragazza, nel mio quartiere” ha detto Mwendike: “Mi disse che la guerra era ormai la sua quotidianità”. Con la sua famiglia, ancora ragazza, l’attivista è stata costretta a lasciare la propria città e ha rischiato la vita a causa delle incursioni e delle violenze di gruppi armati. Il suo, allora, in una fase di rinnovati scontri e tensioni che coinvolgono anche il Ruanda, è un appello a un maggiore impegno internazionale in favore della pace. “Il Congo mi ha insegnato che la guerra non è mai la soluzione e che si perde sempre” ha detto Mwendike. “In 30 anni di guerra siamo sempre allo stesso punto; la guerra comincia con una rivendicazione sensata, c’è chi ti viene a convincere, ma quel discorso poi dove va a finire? Non c’è più: la guerra lo consuma, è lei a dominare”. Secondo l’attivista, è da qui che nasce la scelta della nonviolenza, promossa anche con Lucha, acronimo per Lutte Pour Le Changement, un movimento civile nato a Goma nel 2012. “La guerra uccide le stesse rivendicazioni iniziali”, ha detto Mwendike, “e poi rimangono solo disperazione e sofferenza”. L’incontro alla Fnsi è stato promosso da ong, reti delle diaspore e associazioni del Terzo settore. Il titolo è: ‘A quando la pace in Congo? Il grido della società civile per la pace nella Repubblica democratica del Congo’.

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