Primo piano

In aumento il deficit di libertà e di diritti civili

LO STATO NON RISOLVE I PROBLEMI

Bollini blu, revisioni, legge 626 o 81, airbag, casco, cinture di sicurezza, l’elettronica che controlla tutto, libretto casa, privacy. legge antiriciclaggio, protocolli, DPCM, vaccini e chi più ne ha più ne metta. Quanto è premuroso questo Stato… Si preoccupa di tutto fino ad arrivare ad una delle argomentazioni più diffuse espressa in modo efficace, al fine di contrastarla, da Antonio Martino: “chi si droga (ed ora, ormai, chi fuma, chi ingrassa e chi beve) si ammala e, quindi, scarica il costo della sua scelta sulla collettività, che deve farsi carico di provvedere alle cure. Questa tesi evidenzia un problema reale: se lo Stato mi garantisce le cure mediche, la mia salute non mi appartiene più, il mio diritto a decidere autonomamente della mia vita lascia il posto alla necessità di contenere il costo collettivo della sanità pubblica. Appare così accettabile persino a commentatori intelligenti che, dal momento che lo Stato sopporta il costo della sanità, sia anche il vero padrone della mia salute. Dal Punto di vista della logica del welfare state, la tesi non fa una grinza, e conferma ulteriormente che lo Stato assistenziale inevitabilmente “spiazza” lo Stato liberale.

La situazione è paradossale: se conduco una vita dissipata, comprometto la solvibilità finanziaria della sanità pubblica. Tuttavia, se invece vivo rispettando tutti i canoni del salutismo più bigotto, salvaguardo il sistema Sanitario nazionale (motivo di orgoglio infinito per i suoi sostenitori), ma, dal momento che la mia vita si allunga, metto a repentaglio il sistema pensionistico pubblico. Cosa dovrebbe fare allora un vero patriota? Semplice: vivere una vita igienicamente ineccepibile in modo da arrivare in buona salute all’età del pensionamento, e poi tirare le cuoia, possibilmente senza lasciare eredi. Con buona pace per quanti si dicono assertori di una società liberale.”

La solita idiozia dell’idea che lo Stato deve sovrintendere a tutto. “…l’idea che lo Stato debba proteggere il cittadino da se stesso, imporgli comportamenti che, a giudizio dei nostri infallibili ed onniscienti governanti, sono preferibili a quelli che sceglierebbe altrimenti. La gravità enorme delle interferenze di questo tipo nella nostra vita non è purtroppo percepita correttamente da tutti. Si sta verificando la terribile profezia di David Hume: le libertà raramente si perdono tutte in una volta. Il pericolo vero è la continua erosione delle nostre libertà, poco per volta ci abituiamo a fare a meno della nostra autonomia e corriamo il rischio di ritrovarci di fatto in schiavitù senza nemmeno accorgercene. L’erosione delle libertà è enormemente più pericolosa della privazione istantanea (per esempio, attraverso l’instaurazione di una dittatura), perché nel primo caso è quasi impossibile recuperare le libertà perdute (la gente si abitua a farne a meno) mentre nel secondo caso, le libertà perse repentinamente possono essere altrettanto repentinamente recuperate (per esempio cacciando il tiranno). Se anche solo una trentina di anni fa qualcuno avesse avanzato l’ipotesi che lo Stato ha il diritto di imporci cosa e quanto mangiare sarebbe stato ridicolizzato senza pietà, sommerso dalla generale ilarità. Oggi, invece, e non solo in America, c’è chi comincia ad ipotizzare l’imposizione di restrizioni alimentari col nobile proposito di combattere l’obesità. Siamo al grottesco: ci stiamo avventurando verso una società nella quale la dieta di ciascuno, così come gli altri suoi vizi privati, sono affare di tutti gli altri.”

Già nel 1859 John Stuart Mill ci ammoniva scrivendo: “…il solo scopo per il quale l’umanità è giustificata ad interferire, individualmente o collettivamente, nella libertà d’azione di chiunque, è quello di autoproteggersi. Il solo scopo per il quale si può legittimamente esercitare un potere su un qualunque membro di una comunità civilizzata, contro la sua volontà, è quello di impedirgli di nuocere agli altri. Il bene, fisico o morale, di questo individuo non è una giustificazione sufficiente. Non lo si può costringere a fare o non fare qualcosa perché è meglio per lui, perché lo renderà più felice, perché, secondo l’opinione altrui, ciò sarebbe più saggio perfino più giusto. Queste sono buone ragioni per fargli qualche rimostranza, per ragionare con lui, per convincerlo o per supplicarlo, ma non già per costringerlo o per recargli alcun male quando agisca altrimenti. Per giustificare questo, occorre che l’azione da cui si desideri distoglierlo sia intesa a recar danno ad un altro. Il solo aspetto della condotta di un individuo, per il quale egli deve rispondere alla società, è quello che riguarda gli altri. Per ciò che concerne soltanto lui, la sua indipendenza è di diritto assoluta. Su se stesso, la sua mente e il suo corpo, l’individuo è sovrano.” Questa la lezione di Mill che non dobbiamo lasciare appassire ricordando sempre, come egli scrive, che “l’unica libertà degna di questo nome è quella di perseguire il nostro bene a nostro modo, finché non arriviamo a provare a derubare gli altri del loro o a ciascuno di ottenere il suo. Ognuno è il più appropriato guardiano di ciò che è suo”.

Si va diffondendo nel mondo una crescente inclinazione a estendere indebitamente i poteri della società sull’individuo, sia con la forza dell’opinione sia con quella della legislazione ovvero quella produzione di leggi abnormi che gli stati producono ogni anno. Poiché la tendenza di tutti i mutamenti che hanno luogo nel mondo è quella di rafforzare la società e di diminuire il potere dell’individuo, questa sopraffazione è un male che non tende a scomparire spontaneamente ma, al contrario, a crescere in misura sempre più formidabile.

Nei parlamenti che ci dicono essere rappresentanza del volere del popolo non riescono più neanche a confrontare opinioni divergenti. Si utilizzano sempre più i regolamenti con i quali si sono create corsie preferenziali che raggiungono le votazioni senza dibattito.

Mill afferma: “Non prestare ascolto a un’opinione, poiché si è sicuri della sua falsità, significa presupporre che la propria certezza coincida con la certezza assoluta. Ogni soppressione della discussione è una presunzione di infallibilità: per condannarla basta un ragionamento semplice, ma non per questo inefficace. Sfortunatamente per il buon senso degli uomini, il fatto della loro fallibilità è ben lungi dall’avere nel loro giudizio pratico l’importanza che gli è sempre riconosciuta in teoria; poiché, mentre ciascuno sa benissimo di essere fallibile, pochi ritengono necessario prendere precauzioni contro la propria fallibilità o ammettono la possibilità che un’opinione di cui si sentono certi possa essere un esempio di quell’errore cui si riconoscono soggetti. I sovrani assoluti, o coloro che sono abituati a una deferenza illimitata, sono soliti nutrire una completa fiducia nelle loro opinioni su quasi tutti gli argomenti.”

Il saggio Bruno Leoni ci avverte che: “le leggi prodotte dal gioco politico democratico sono l’espressione di uno spietato (e spesso feroce) conflitto tra interessi contrastanti e dalla cinica determinazione di ottenere favori e privilegi. La statizzazione del diritto e dell’intera società ci ha trascinato, anche contro la nostra volontà, in una lotta legale di tutti contro tutti in cui alla forza del diritto si è ormai sostituito il diritto della forza: dei più organizzati, ricchi, colti, e così via. Altri, sostenendo che la costrizione deve essere aumentata per accrescere la “libertà”, passano semplicemente sotto silenzio il fatto che la “libertà” di cui parlano è solo la loro, mentre la “costrizione” che vogliono accrescere deve esercitarsi sugli altri. Il risultato finale è solo la libertà di costringere altri a fare cose che non farebbero mai se fossero liberi di scegliere da sé.”

A chiunque apprezza la libertà individuale suggerisco di rivalutare il ruolo dell’individuo all’interno dell’ordinamento giuridico preso nella sua interezza. Non è più questione di difendere questa o quella libertà particolare, di scambio, di parola, di associazione, etc., né di decidere quali legislazioni “buone” dobbiamo adottare al posto di altre “cattive”. Si tratta di decidere se la libertà individuale sia compatibile in linea di principio con gli attuali ordinamenti, incentrati e quasi completamente identificati con la legislazione e questa produzione irrefrenabile di leggi.

I Romani e gli Inglesi condividevano l’idea che il diritto è qualcosa da scoprire piuttosto che da decretare e che nessuno è così potente nella società da essere in posizione di identificare la sua propria volontà con la legge del paese. Il compito di “scoprire” la legge era affidato nei loro paesi rispettivamente ai giureconsulti e ai giudici, due categorie paragonabili, almeno fino a un certo punto, agli esperti scientifici di oggi.

Questa invasione continua da parte dello Stato nei nostri affari lacera e riduce in brandelli quel poco che è rimasto delle buone e vecchie tradizioni che le generazioni passate ci hanno lasciato. La possibilità di annullare accordi e convenzioni con il subentrare di nuove leggi tende, a lungo termine, a indurre la gente a non fidarsi delle convenzioni esistenti e a non rispettare i patti. D’altronde, il continuo mutamento di regole prodotto dall’inflazione legislativa impedisce di sostituire con successo e durevolmente il complesso di regole non legislative – usi, convenzionali, accordi – che sono state distrutte in questo processo.

La mitologia del nostro tempo non è religiosa, ma politica. I miti principali sembrano essere, da una parte, la “rappresentanza” del popolo, e dall’altra la pretesa carismatica dei leader politici di possedere la verità e di agire di conseguenza. Unti dal Signore o dal popolo delle cooperative non ha importanza.

La stupida ossessione dei nostri “regnanti” di essere rapidi ogni volta che vengono illuminati è una spia da tenere in evidenza. Ogniqualvolta i nostri governanti affermano che questa legge deve essere approvata con estrema sollecitudine oppure, nel quadro della riforma della giustizia, che dobbiamo arrivare ad avere una giustizia che sia prima di altro rapida. Già a chi importa più di una giustizia giusta? E per carità non facciamoci mancare l’ennesima legge.. Ne produciamo solo 55.000 ogni anno. Ne produciamo in sei mesi quanto gli Stati Uniti ne hanno prodotte dal 1945 ai nostri giorni.

La famosa battuta dell’ultimo Keynes “a lungo termine saremo tutti morti” potrebbe essere adottata come motto della nostra epoca dagli storici del futuro. Forse ci stiamo abituando sempre più ad attenderci risultati immediati dal progresso enorme e senza precedenti dei mezzi tecnici e degli strumenti scientifici sviluppati per svolgere una gran varietà di compiti e per realizzare un gran numero di effetti materiali.

Leoni afferma: “…la gente pensa che a lungo termine sarà morta. Lo stesso atteggiamento si nota anche in relazione col generale declino della fede religiosa, lamentato oggi da molti preti e pastori. Le fedi cristiane valorizzavano non la vita presente dell’uomo, ma una vita futura. Meno le persone credono in quel mondo futuro, più si aggrappano alla vita presente, e, ritenendo breve questa vita individuale, hanno fretta. Ciò ha causato una grande secolarizzazione della fede religiosa sia in Occidente sia in Oriente, e così anche una religione indifferente al mondo presente come il buddismo sta assumendo, per opera di alcuni suoi sostenitori, un significato mondano, “sociale”, se non propriamente “socialista”. Uno scrittore americano contemporaneo, Dagobert Runes, dice nel suo libro sulla contemplazione: “Le Chiese hanno perso il contatto col divino e si sono rivolte alla stampa e alla politica.”

Ritornando alla produzione di leggi ad esempio per dare sempre più la certezza del diritto, si arriva a traguardi comici mai raggiunti evidenziati dalla sempre più frequente pubblicazione di Testi Unici. Certo! senza questi ultimi il mal di testa è assicurato ed in quanto a capirci qualcosa…

I Romani (benedetti… ma noi da chi abbiamo preso?) accettavano e applicavano un concetto di certezza del diritto il cui senso era che il diritto non doveva mai essere soggetto a cambiamenti improvvisi e imprevedibili. In più il diritto non doveva mai essere subordinato alla volontà o al potere arbitrario di qualsiasi assemblea legislativa e di qualsiasi persona, compresi i senatori e gli altri magistrati importanti dello Stato. Questo è il concetto di certezza del diritto a lungo termine, o romano, se si preferisce.

Dobbiamo interrogarci se tutto ciò dipende da noi ed in quale misura. Il buon Mill può solo venirci in aiuto affermando che: “Le istituzioni rappresentative sono di poco valore, e possono essere un semplice strumento di intrighi o di tirannide, quando la generalità degli elettori non è sufficientemente interessata al proprio governo tanto da andare a votare, o, se ci va, non concede il suo suffragio nell’interesse pubblico, ma lo vende per denaro, o vota agli ordini di qualcuno che la controlla, o che desidera propiziarsi per motivi privati. L’elezione popolare, così praticata, invece di essere una garanzia contro il malgoverno, è solo una ruota addizionale del suo ingranaggio.”

Leoni, invece: “Si tende ad accettare le cose come stanno, non solo perché non si riesce a vedere niente di meglio, ma anche perché spesso non si è consapevoli di che cosa stia veramente accadendo. Si giustifica la democrazia dei nostri giorni perché sembra garantire almeno una lasca partecipazione degli individui al processo di legislazione e all’amministrazione del loro paese, una partecipazione che, per quanto possa essere lasca è considerata la migliore realizzabile.”

Con una simile disposizione d’animo, R.T. McKenzie scrive: “E’… realistico sostenere che l’essenza del processo democratico è la competizione libera per la leadershep politica.” Egli aggiunge che “il ruolo essenziale dell’elettorato non è decidere su linee di condotta specifiche, ma decidere quale di due o più gruppi concorrenti di leader potenziali dovrà prendere le decisioni”. Non è molto, però, per una teoria politica che usa ancora termini come “democrazia” e “rappresentanza”.

Il grande inganno si compie con coloro che si rifugiano nel potere della legge. Non si può non seguire la legge quasi fosse sempre un prodotto divino.

I giuristi, ad esempio, sono inclini a parlare come se il potere legislativo fosse onnipotente, come se non avessero bisogno di andare oltre le sue decisioni. E, naturalmente, onnipotente, nel senso che può fare qualunque legge gli piaccia, in quanto legge significa norma fatta dal legislativo. Ma dal punto di vista scientifico, il potere di legislazione è, com’è naturale, strettamente limitato. Se un organo legislativo decidesse che tutti i bambini con gli occhi blu devono essere uccisi, sarebbe illegittimo; ma i legislatori dovrebbero impazzire prima di approvare una simile legge, e i sudditi dovrebbero essere idioti per potervisi sottomettere.

L’accettazione cieca del punto di vista giuridico contemporaneo condurrà alla distruzione graduale della libertà individuale di scelta nella politica come nel mercato e nella vita privata, perché il punto di vista giuridico contemporaneo comporta una sempre maggiore sostituzione delle decisioni collettive alle scelte individuali e l’eliminazione progressiva degli aggiustamenti spontanei, non solo fra domanda e offerta, ma anche fra ogni tipo di comportamento, attraverso procedure rigide e coercitive come quella della regola di maggioranza.

Abbiamo alcuni punti fissi che possono aiutarci. Dobbiamo ricordare sempre che quando la regola di maggioranza sostituisce senza necessità la scelta individuale, la democrazia confligge con la libertà individuale.

Gli appartenenti alla maggioranza spesso hanno modificato il detto del Vangelo, risalente almeno alla filosofia confuciana, e che è forse una delle norme più concise ed efficaci della filosofia della libertà individuale “Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te” in “Fa agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te.”

La volontà comune è una finzione nella comunità politica moderna. Chi appartiene alla parte vincente del gruppo dice di decidere per l’interesse comune e secondo la “volontà comune”.

E’ per tutto ciò che mi rifiuto di accettare sempre e comunque il criterio della maggioranza.

“Uno stupido è uno stupido, due stupidi sono due stupidi, cinquecento stupidi sono cinquecento stupidi, ma cinquemila, per non dire cinque milioni dì stupidi sono una grande forza storica.” Non nego la verità di questa tesi cinica, ma una forza storica può essere contenuta o modificata e ciò è più probabile se i fatti confutano quello in cui la gente crede. Quello che diceva un tempo Hippolyte Taine, che dieci milioni di casi di ignoranza non fanno conoscenza, vale per ogni tipo di ignoranza, compresa quella delle persone appartenenti alle società politiche contemporanee, con tutti i loro annessi di procedure democratiche, regole di maggioranza, corpi legislativi e governi onnipotenti.

Per questo è da rifiutarsi qualsiasi intervento dello Stato entri nella sfera individuale di ogni individuo.

Oltre tutto, a me sembra assai contraddittoria questa forma di paternalismo autoritario da parte di chi crede nella democrazia: come è possibile sostenere coerentemente che gli individui sono in grado di prendere con saggezza decisioni importanti per il futuro politico dell’intera collettività nazionale, e poi ritenerli incapaci di decidere autonomamente cosa debbano o non debbano fare della loro vita? Mi piacerebbe che, a questo proposito, venissero ricordate con frequenza le parole di un grande contemporaneo di Mill, Alexis de Tocqueville: “I popoli democratici, che hanno introdotto la libertà nella sfera politica mentre accrescevano il dispotismo nella sfera amministrativa, si sono trovati in una situazione molto strana. Allorché si tratta della gestione dei piccoli affari in cui il semplice buon senso potrebbe bastare, ritengono che i cittadini ne siano incapaci; allorché invece si tratta del governo di tutto lo Stato, attribuiscono a questi cittadini immense facoltà”.

Centinaia di leggi e provvedimenti nascono continuamente ogni giorno per regolamentare, sempre più minuziosamente, gli adeguati comportamenti nelle nostre scelte di cittadini. Questo sistema ha sconfinato. L’eccesso di burocrazia diviene, non una modalità di percorso corretto di buona convivenza comune, bensì il principale scopo della loro esistenza. Molti di noi sono stufi di passare gran parte del proprio tempo con bollini blu, revisioni, legge 626 o 81, airbag, casco, cinture di sicurezza, l’elettronica controlla tutto, libretto casa, privacy, legge antiriciclaggio, invio degli F24 telematicamente, protocolli, DPCM, vaccini e chi più ne ha più ne metta.

Lo Stato sta regolamentando sempre più la nostra vita quotidiana. Decide quando e se dobbiamo indossare il casco in motocicletta. Quando dobbiamo sostituire la nostra autovettura. Approva leggi. Emana regolamenti. Il bello è che molte delle stesse istituzioni che hanno il compito di controllare tutto questo, giusto o meno, sono le prime fuori norma. Tribunali di grandi città e stazioni di Carabinieri costretti, non per loro scelta, ad avere sedi che non soddisfano neanche le norme emanate nell’ottocento. Aziende sanitarie locali al limite dell’indecenza. Scuole ridotte oltre ogni limite immaginabile.

Questo Stato dovrebbe sovrintendere la nostra vita? Non è credibile e tanto meno auspicabile. Ed è inimmaginabile che “l’Italiano”, sempre così fiero di essere libero, o di credersi tale, accetti tutto questo.

Lo Stato deve imporre leggi necessarie ed indispensabili per una società civile ed evoluta. Conseguenza è che ogni persona, anche se non supportata dalla convinzione e dalla sensibilità del rispetto della propria e della altrui libertà, è sottoposta ad un codice civile e penale che garantiscono una sufficiente equità ed una sufficiente libertà ad un numero massimo di individui. Là dove manca una formazione adeguata per i cittadini che, fin dall’infanzia nella famiglia, nelle scuole, nello sport, non possono raggiungere un’autentica consapevolezza di essere umano, di essere pensante, di essere responsabile di sé e dei più deboli che lo circondano, di soggetto e non oggetto con diritti e doveri comuni, là si fanno più necessarie regole e punizioni.

Vorremmo uno Stato che stabilisca e promuova scelte e provvedimenti atti a permettere un sempre maggiore sviluppo etico, civile e sociale del libero cittadino.

Uno Stato che non è in grado di far recepire gli obiettivi che si è prefissato per i propri cittadini e che agisce principalmente con l’imposizione legislativa sui propri “sudditi”, come il peggiore dei Principi medioevali, non avvierà mai il processo evolutivo necessario che porta al rispetto della legge per condivisione e non per timore.

Qualcuno si è fatto il conto del costo di bollini blu + revisioni auto + libretto casa + rottamazione auto + legge 626 + privacy + legge antiriciclaggio, a quanto assommano? Scoprirete un altro probabile motivo dell’aumento dei prezzi, altro che euro! Divieti di ogni tipo. In Italia, ogni giorno, nascono più divieti che bambini. Vi ricordate al Castello di Sirmione. Vietato mangiare panini in strada!

Ricordiamoci sempre, come ricordava Alessandro De Nicola dalle pagine de “Il Sole-24 Ore”, Lo Stato non risolve i problemi, lo Stato è il problema!

Alessio Russo

Presidente Nazionale del Collegio Periti Italiani

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