Report dell’Istat su una rilevazione che ha riguardato 90.461 aziende rappresentativo dell’industria, del commercio e dei servizi
Oltre l’80% delle imprese, che rappresentano più del 90% del valore aggiunto, prevedono di trovarsi in una situazione di completa (41,3%) o parziale (39,5%) solidità entro la prima metà del 2022. Poco più del 3% si giudica invece gravemente a rischio. Il 9,4% delle imprese ha aumentato il personale nella seconda metà del 2021 mentre un altro 12,1% sta assumendo. Ma tra queste quasi i due terzi segnalano difficoltà a reperire le competenze necessarie. Per quasi un quarto delle imprese i fattori di rischio per la crescita sono l’indebolimento della domanda e gli ostacoli nell’acquisire gli input produttivi. La rilevazione ha interessato un campione di 90.461 imprese con 3 e più addetti attive nell’industria, nel commercio e nei servizi, rappresentative di un universo di circa 970mila unità: corrispondono al 22,2% delle imprese italiane ma producono il 93,2% del valore aggiunto nazionale e impiegano il 75,2% degli addetti (13,1 milioni) e il 95,5% dei dipendenti. E’ quindi un segmento fondamentale del nostro sistema produttivo. Tra le imprese oggetto di indagine sono 753 mila, il 77,6% del totale, le micro-imprese con 3-9 addetti in organico mentre le piccole (10-49 addetti) sono189mila (il 19,5%). Le medie imprese sono circa 24mila (50-249 addetti) e le grandi 4mila (250 addetti e oltre). Più della metà delle imprese è attiva al Nord (il 28,7% nel Nord-ovest e il 22,7% nel Nord-est), il 21,3% al Centro e il 27,3% nel Mezzogiorno. Il 69,9% opera nei servizi, di cui il 24% nel commercio, il 19,1% nell’industria in senso stretto e l’11,0% nelle costruzioni. Nella rilevazione, il 90,9% delle imprese ha dichiarato di essere in piena attività e il 5,9% di essere parzialmente aperto, svolgendo l’attività in condizioni limitate in termini di spazi, orari e accesso della clientela. Il 3,1% ha invece dichiarato di essere chiuso: si tratta di circa 30 mila imprese, che pesano per il 2,1% dell’occupazione. Nel complesso le micro-imprese (3,7%) e le unità che operano nel Nord-est (4,0%) e nel Mezzogiorno (3,6%) presentano una incidenza di imprese chiuse superiore agli altri segmenti dimensionali e territoriali. Nel valutare l’andamento del fatturato registrato tra giugno e ottobre 2021 rispetto agli stessi mesi del 2020 le imprese si dividono in tre gruppi quasi equivalenti per numerosità: il 34,2% dichiara una riduzione delle vendite, il 33,7% un andamento stabile e il 32,1% un aumento. Quest’ultimo gruppo rappresenta però in termini occupazionali il segmento più ampio (45,1% rispetto al 26,6% di imprese in perdita e al 28,4% con fatturato stabile) e contribuisce a produrre la metà del valore aggiunto nazionale (49,8% contro il 22,8% delle imprese con fatturato in contrazione e il 27,4% di quelle con risultati stabili). L’industria in senso stretto e le costruzioni presentano una ripresa più diffusa: le imprese con un fatturato in aumento sono rispettivamente il 41,2% e il 37,3% mentre scendono al 30,1% nel commercio e al 28,1% negli altri servizi. In questi due segmenti del terziario sono anche più frequenti i casi di riduzione del fatturato, 37,4% e 36,5% a fronte del 29,8% dell’industria in senso stretto e al 25,2% delle costruzioni. Nei servizi una maggiore incidenza di imprese con fatturato in calo si rileva nei settori delle trasmissioni radiofoniche e televisive (60,8%), case da gioco (58,1%), trasporto areo (55,0%), riparazione di computer e altri beni personali (49,8%), servizi postali e di corriere (46,7%), finanziari e assicurativi (46,1%) e nel comparto della ristorazione (44,2%). Si confermano inoltre le criticità riscontrate nei primi periodi della pandemia per le agenzie di viaggio (39,3%), le attività sportive e di divertimento (38,9%), le attività artistiche (36,9%), il settore pubblicitario (36,6%), cinematografico e musicale (35,5%). Nel settore industriale soltanto il comparto tessile (43,7%) e quello alimentare (38,2%) presentano una quota di imprese in perdita superiore alla media complessiva (34,2%) e all’insieme del settore (29,8%). Nell’industria si conferma la maggiore dinamicità delle imprese esportatrici: tra giugno e ottobre del 2021 il 51,8% di questo insieme fa registrare un aumento del fatturato, il 20,7% presenta una variazione stabile e solo il 27,6% segna un calo. A livello territoriale, le imprese del Nord-est, che dichiarano un aumento di fatturato nel 36,4% dei casi, e quelle del Nord-ovest (34,5%) mostrano una maggiore capacità di recupero rispetto alle imprese del Mezzogiorno (27,7%) e del Centro (30,1%), dove si registra una quota più elevata di imprese in perdita (rispettivamente il 36,9% e il 37,9%), dovuta in parte alla maggiore incidenza del settore del commercio e dei servizi. La diffusione della ripresa è strettamente correlata alla dimensione aziendale. In particolare, le micro- imprese presentano un’incidenza delle unità con riduzione del fatturato (il 36,4%) pari al doppio di quella registrata dalle grandi (18,9%) mentre i casi in aumento (il 28,9% tra le micro-imprese) pesano circa la metà di quanto rappresentino tra le unità maggiori (il 52,7%). Positivo il risultato anche tra le piccole e le medie imprese (rispettivamente con il 42,0% e il 51,2% di casi in aumento rispetto al 27,1% e il 22,0% in diminuzione). La quota con un fatturato stabile si attesta intorno al 30% in tutti i segmenti, con valori compresi tra il 28,5% delle grandi e il 34,7% delle micro. L’effetto dimensionale è particolarmente evidente nei settori che presentano minori segnali di ripresa. In particolare nei servizi non commerciali segnano risultati complessivamente sfavorevoli anche le piccole (10-49 addetti). Il prevalere di andamenti positivi del fatturato si estende alle micro-imprese soltanto nel comparto delle costruzioni. La dimensione internazionale si conferma un fattore rilevante per la tenuta delle imprese e la ripresa risulta infatti più diffusa tra quelle che appartengono a gruppi multinazionali. Concentrando l’attenzione sulle unità con almeno 100 addetti, la quota di multinazionali italiane o estere che rilevano un aumento del fatturato nel periodo giugno-ottobre 2021 sale rispettivamente al 59,1% e al 56,4%, a fronte del 45,8% delle imprese appartenenti a gruppi domestici e al 41,7% delle imprese non appartenenti a gruppi (indipendenti). Risulta particolarmente positiva la performance delle multinazionali con vertice in Italia che operano nel commercio e nell’industria in senso stretto, tra le quali oltre i due terzi dichiarano un aumento delle vendite (il 66,5% nel commercio e il 63,7% nell’industria in senso stretto). L’indagine ha dedicato una specifica sezione alla gestione delle risorse umane da parte delle imprese, con particolare riferimento ai cambiamenti nell’utilizzo del personale (variazioni dell’occupazione e delle ore lavorate), alle nuove assunzioni e all’impiego del lavoro a distanza. Nell’interpretare i risultati occorre considerare che l’indagine è stata condotta a fine autunno, in una fase in cui la curva dei contagi era ancora contenuta e non erano state ancora annunciate nuove misure di contrasto all’epidemia potenzialmente rilevanti per le scelte delle imprese. Nella seconda metà del 2021 il 16,0% delle imprese con più di 3 addetti ha fatto ricorso a misure quali la Cassa integrazione guadagni (Cig) o altre equivalenti quali il Fondo integrazione salariale (Fis). Come atteso, l’utilizzo di tali strumenti è risultato molto meno diffuso rispetto al 2020: nella fase di sospensione dell’attività produttiva durante il primo lockdown, ovvero a marzo 2020, oltre il 70% delle imprese vi aveva fatto ricorso e alla fine dell’anno l’incidenza risultava pari al 42%. Come nel 2020, anche a giugno 2021 sono state le imprese più grandi a utilizzare più frequentemente questo tipo di strumento (21%), contro il 17,3% delle medie, il 16,9% delle piccole (10-49 addetti) e il 15,7% delle micro-imprese. A livello settoriale l’utilizzo della Cig è risultato più frequente nelle imprese degli altri servizi (17,6% delle imprese) e dell’industria in senso stretto (16,8%) e più contenuto in quelle del comparto delle costruzioni (9,0%). In particolare, la maggiore diffusione ha riguardato alcune attività economiche ancora penalizzate dalla crisi, quali le attività dei servizi di agenzie di viaggio, tour operator, servizi di prenotazione e attività connesse (74,6%), attività artistiche, sportive e di intrattenimento (33,9%) e, per quel che riguarda la manifattura, nelle unità dell’abbigliamento (42,9%) e delle calzature (44,2%). Le imprese delle costruzioni e, in misura di poco inferiore, dell’industria in senso stretto, hanno inoltre mostrato una maggiore propensione all’aumento del personale a tempo determinato o indeterminato, rispettivamente il 12,2 e il 12,8%. Negli stessi comparti la quota di chi ha dichiarato di averlo ridotto è molto più bassa (5,8% nelle costruzioni e 6,5% nell’industria) mentre la riduzione delle ore lavorate ha riguardato appena il 3,7% delle imprese del settore edilizio. La diffusione di politiche di aumento del personale è stata significativa in tutte le classi dimensionali di tali comparti ma è risultata maggiore tra le imprese di medie dimensioni (più del 20%). All’opposto, le scelte di ridimensionamento del personale e/o delle ore lavorate sono state decisamente più frequenti tra le imprese degli altri servizi. Quelle del commercio hanno presentato una propensione relativamente bassa sia all’aumento sia alla riduzione del personale.