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  Gli Stati Uniti stanno togliendo alla Russia la chiave della Transcaucasia

di Giuliano Longo

 

Si parla sempre più spesso del possibile passo di Yerevan verso l’adesione alla NATO, mentre l’11 settembre sono iniziate le esercitazioni militari congiunte armeno-americane.

 

Storicamente  la Transcaucasia è un  punto di conflitto delle potenze mondiali per un’area posta a sud dello spartiacque principale della catena del Caucaso e costituita da Georgia, Armenia e Azerbaigian, delimitata a sud dalla Turchia e Iran e lambita a ovest dal Mar Nero e a est dal Mar Caspio.

 

A partire dal XVI su questi territori si sono confrontatila Persia,(l’odierno Iran,) l’Impero Ottomano e successivamente l’Impero russo. La novità è che oggi nel gioco delle influenze sono entrati a  gli Stati Uniti  consapevoli che da questi territori si possono controllare trasporti e rotte energetiche. Chi controlla questa regione cuscinetto tra Europa, Asia e Medio Oriente,  può condizionare le politiche di molti Stati.

 

L’Armenia è una delle chiavi della Transcaucasia e  oggi Yerevan si prepara a compiere una svolta storica per questa ragione, secondo molti analisti russi,  ha bisogno di proseguire la guerra con l’Azerbagian, sostenuto dalla Turchia,  per il conteso territori del Nagorno Karabakh.

 

Anche in questo caso un conflitto etnico in corso dal 1992 tra la maggioranza armena e la minoranza azera  che  dal 2020 è costata 65mila vittime e oltre le  7mila (oltre a 100mila sfollati) solo  nei 44 giorni di scontri,  prima del cessate il fuoco firmato da Armenia, Azerbaijan e Russia il 17 gennai 2023.

 

Accusando Mosca di non averlo sostenuto sufficientemente in questo conflitto, il presidente armeno Pashinyan ha bisogno di giustificare l’uscita del suo Paese dalla CSTO (comunità degli stati indipendenti post sovietici) e l’eventuale avvia della procedura per l’adesione alla NATO.

 

Per ora da Mosca non si registrano particolari reazioni se non l’urgente convocazione al Ministero degli esteri russo del suo ambasciatore con relativo seguito di vibranti rimostranze, ma è difficile che la Russia accetti senza batter ciglio l’adesione dell’Armenia al Patto Atlantico e la sostituzione dei sui  peace keepers con l’eliminazione della loro base militare.

 

Il timore di Mosca , agitato dalla stampa russa,  è che  l’Occidente stia solo aspettando di attirare Mosca nella trappola transcaucasica proprio con l’Armenia  potenziale avamposto strategicamente vantaggioso. Un copione già visto in Ucraina sia pure in condizioni molto diverse e per un Paese di ben altre dimensioni

 

E’ comunque evidente, anche solo scorrendo la carta geografica, che questo ribaltamento alleanze potrebbe rappresentare uno strumento di pressione non solo sulla Russia, ma anche sull’Iran, che confina con l’Armenia, e un  un deterrente per la Turchia (Paese della Nato)  che, paradossalmente, potrebbe rivelarsi un alleato di Mosca.

 

La Russia è già in sofferenza nel Caucaso anche in Giorgia dove sono ancora aperte  le ferite  della seconda guerra in Ossezia del Sud dell’agosto 2008 (nota anche come guerra della i cinque giorni), quando lo schieramento separatista guidato dalla Russia e dalle repubbliche di Ossezia del Sud e Abcasia, sconfisse pesantemente Tiblisi.

 

In Georgia la situazione è differente  poiché  se parte della popolazione guarda all’Occidente e all’Ingresso nella Unione Europea, il Governo a tenta di ricucire i rapporti con Mosca sul piano economico, molto più convenienti oggi per Tiblisi (turismo e agricoltura) dopo l’isolamento della Russia dall’Occidente. 

 

Sui calcoli  americani in Trancaucasia e più oltre in Asia Centrale, non ci sono molti dubbi soprattutto oggi che Mosca è indebolita dal conflitto ucraino e  Washington ritiene che non sia in condizione di reagire di fronte all’anello che si va stringendo ai suoi confini sud occidentali nel Caucaso, ma…

 

Ci sono alcuni ma, il primo riguarda  le reazioni di Ankara che recentemente ha fatto pace con Biden e la Nato, ma non ha mai nascosto le sue ambizioni di egemonia ottomana non solo a ridosso del Caspio, ma anche in Asia centrale (Kazakhstan, Kirghizistan, Tadžikistan, Turkmenistan e Uzbekistan). Dove tuttavia  Erdogan rischia di rompersi i denti con la Cina che su quei Paesi ha le stesse ambizioni.

 

L’altro ma riguarda proprio la reazione di Mosca, ma soprattutto della Cina  che certamente non gradirà il devastante e progressivo indebolimento di un Paese con il quale condivide oltre 4.200 chilometri di confine, e punta invece ad un equilibrato multipolare globale.

 

Quanto basta per prevedere che la piccola Armenia finisca per innescare una altra escalation nella già complicata e pericolosa situazione internazionale. 

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