Il team di scienziati del Conservation Research Institute dell’Università di Cambridge dopo aver studiato gli ambienti naturali delle specie di mammiferi confrontandoli con quelli preindustriali sono giunti ad una conclusione allarmante: il 97% della terraferma potrebbe non essere più ecologicamente intatta a causa della presenza umana. La squadra è arrivata a questa conclusione analizzando tre fattori fondamentali: la misura dei cambiamenti dovuti alle attività umane, la quantità di specie estinte a causa della modifica o perdita dei loro habitat naturali e il numero di animali ancora presenti in un dato luogo.
I risultati dello studio, pubblicati sulla rivista Frontiers in Forests and Global Change, evidenziano come solo il 2-3% della superficie terrestre non abbia subito danni a causa dell’attività umana – contro il 20-40% di precedenti ricerche –, e che solo l’11% delle zone ancora intatte sia protetto, principalmente nel bacino amazzonico, nel Congo, nella Russia orientale, nel Canada settentrionale, in Alaska e in alcune parti del Sahara, aree dove la popolazione umana lavora attivamente nella conservazione della flora e fauna locale.
“Sappiamo che le zone ecologicamente intatte sono in diminuzione – ha dichiarato Andrew Plumptre, esperto di biodiversità presso il Conservation Research Institute dell’Università di Cambridge – ma il nostro lavoro dimostra che spesso anche le aree che prima erano considerate integre sono in realtà soggette alla perdita di animali”.
È stato inoltre sottolineato che per riportare anche al 20% le aree incontaminate si potrebbero reintrodurre specie fondamentali per la biodiversità, e di come sia importante salvaguardare quest’ultima, in quanto, come dice Kimberly Komatsu “questi ecosistemi, di rimando, contribuiscono alla salute umana”.