Esteri

La Chine en marche, da Vladivostok alle Repubbliche dell’Asia Centrale

di Giuliano Longo

Il vertice della scorsa settimana delle cinque repubbliche ex sovietiche dell’Asia centrale  a Ki’an (Kazakistan, Kirghizistan, Uzbekistan, Tagikistan e Turkmenistan) denota una antica aspirazione della Cina ad esercitare lsua influenza su quell’area ad oggi dominata in parte dalla Russia.   Pechino teme un vuoto di potere in Asia centrale, fondamentale per la sua Belt and Road Initiative (BRI), mentre Mosca è assorbita dalla guerra in Ucraina.  Con la caduta dell’Unione Sovietica le repubbliche dell’Asia centrale sono diventate indipendenti, ma politicamente instabili. Tuttavia la Cina non si è mossa per cercare di stabilizzare la situazione lasciando campo libero alla Russia, mentre anche gli Stati Uniti vorrebbero, più o meno velatamente, tentato di allargare la loro influenza in quell’area, soprattutto dopo la loro fuga dall’Afghanistan.  Il 19 maggio  Xi Jinping ha presentato una proposta per aiutare lo sviluppo  dell’Asia centrale, che non ha  sbocco sul mare,  con la costruzione di reti infrastrutturali, potenziando il commercio, evitando “interferenze esterne”. Politicamente va ricordato che nel gennaio 2022, poco prima dell’invasione ucraina, la Russia ha sostenuto un colpo di stato in Kazakistan e alcuni leader kazaki sono corsi a chiedere aiuto a Pechino. Pechino si è offerta di creare strategie di sviluppo sinergiche con i cinque paesi dell’Asia centrale.“Il mondo ha bisogno di un’Asia centrale che sia stabile, prospera, armoniosa e ben collegata”,ha detto Xi. Ma questi  paesi dovrebbero opporsi congiuntamente alle “ingerenze esterne”  e ai tentativi di istigare le “rivoluzioni colorate”, sostenute dagli Stati Uniti con la scusa della difesa dei valori democratici. I cinque inoltre dovrebbero anche mantenere la tolleranza zero contro il terrorismo, il separatismo e l’estremismo, ha detto Xi ricordando il loro passato sostegno alle attività anti-Pechino nello Xinjiang, abitato da uiguri, una minoranza turca vicina alle popolazioni di quattro delle cinque repubbliche centroasiatiche. C’è poi una novità, che non arriva dal vertice,ma  dalla Siberia.  Pechino ha riferito che la Russia sta per la prima volta concedendo all’uso cinese del porto di Vladivostok, che rappresenta una svolta per le province nordoccidentali senza sbocco sul mare di Jilin e Heilongjiang. Vladivostok ha solo 600.000 abitanti, rispetto ai circa 100 milioni di cinesi ai suoi confini  e la potenza economica della Cina potrebbe facilmente schiacciare le attività commerciale dei russi  una volta concluso l’accordo. L’attiguo nord-est della Cina, l’ex Manciuria, per  40 anni è stata in ritardo rispetto allo sviluppo economico nel paese, ma nell’ultimo anno è in forte espansione, grazie  domanda russa di prodotti industriali a basso costo che non sono più disponibili attraverso gli esportatori occidentali dall’inizio della guerra. L’apertura di Vladivostok potrebbe cambiare l’economia della regione, ma di fatto farebbe diminuire il peso politico  locale di Mosca.Già molti russi dalla Siberia vanno in vacanza ad Hainan e fanno acquisti a Shanghai. La  Russia, per oltre un secolo, ha creduto che la chiave per controllare Vladivostok  fosse isolare la città dal vicino ambiente cinese. Ora Mosca sta cambiando atteggiamento perché ha bisogno dell’aiuto cinese per sopravvivere alla guerra e quindi la città portuale della Siberia sarà lo sbocco del vicino cortile cinese. Grazie alle difficoltà di Mosca, Pechino può avvicinarsi all’Asia centrale e estendere la propria influenza su  Vladivostok e la Siberia orientale, ma sicuramente dovrà pur pagare dazio alla Russia grazie a quell’amicizia fattiva che viene continuamente ribadito dai due Paesi.  La Cina e la Russia hanno “obiettivi simili” e possono cooperare per il loro perseguimento, ha sottolineato Xi durante il suo incontro con Putin il 19marzo scorso. Obiettivi non militari ma sicuramente di sostegno economico e finanziario all’antico rivale.

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