Politica

  La parola “genocidio” diventa un caso del Pd e nell’Anpi di Milano

 

di Viola Scipioni

 

Dal 7 ottobre, ogni fine settimana il corteo che caratterizza maggiormente caratterizza la vita milanese è quello a favore della Palestina per il conflitto che ha colpito Gaza negli ultimi mesi dello scorso anno. Se all’inizio le proteste erano per lo più pacifiche e chiedevano il semplice cessate il fuoco sulla Striscia, nelle ultime settimane il dibattito si è acceso sul termine “genocidio” che ha diviso la politica cittadina, soprattutto nel Pd, e ha creato un terremoto all’interno dell’Anpi: i protestanti, infatti, ora chiedono di fermare il “genocidio palestinese”, accusando Israele di essere uno Stato terrorista; in molti sono rimasti sorpresi quando hanno visto sventolare svariate bandiere appartenenti alla sinistra nelle piazze della città. «Il termine genocidio è sbagliato, non va usato. Giusto criticare il governo di destra di Israele, ma certe parole vanno usate con appropriatezza» queste le parole di Roberto Cenati, Presidente dell’associazione milanese dei partigiani dal 2012, che dopo queste dichiarazioni si è dimesso per posizioni discordanti anche con l’Anpi nazionale di Roma. Dimissioni che qualche giorno dopo non sono tardate ad arrivare anche per il consigliere del Pd Daniele Nahum: «il partito è ambiguo sulla politica estera. L’accusa di genocidio ai danni dei palestinesi ha provocato un rigurgito di antisemitismo, mascherato da antisionismo, che non avevo mai avvertito prima d’ora». Ora, l’esponente della comunità ebraica di Milano è passato al gruppo misto in attesa di passare in Azione o nei Radicali. Manca comunque sempre meno al 25 aprile e nel capoluogo lombardo mai le tensioni a riguardo sono state così evidenti, soprattutto perché sul piano nazionale Elly Schlein è stata ringraziata pubblicamente dall’ambasciata israeliana per le posizioni equilibrate sul conflitto. Cosa succederà, quindi, nella piazza per la Festa della Liberazione? La Brigata ebraica e la sinistra radicale “Pro-Pal” riusciranno comunque a marciare insieme? Forse sarà Lele Fiano a portare un po’ di equilibrio: il figlio del deportato ad Auschwitz Nedo Fiano ha dichiarato infatti che «le battaglie si conducono all’interno del partito» e che quindi poco hanno a che fare con la piazza. Il fatto finale, però, rimane uno: che mentre a Milano e nelle piazze italiane si discute, i morti stanno della Striscia di Gaza, poco importa di che colore sia la bandiera che sventolano.

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