Politica

La Rai del governo Meloni: dalle dimissioni di Fazio alle nuove nomine

di Fabiana D’Eramo

 

In Italia la televisione è sempre stata una questione politica. Ce lo ricorda l’ennesimo trasloco in Viale Mazzini. Fabio Fazio lascia la Rai, a pochi giorni dalle dimissioni dell’ormai ex amministratore delegato della società, Carlo Fuortes, nominato dal governo Draghi. Dimissioni che arrivano proprio a causa di cambiamenti di linea editoriale che, a detta sua, minacciano il servizio pubblico.

E infatti la prima testa che cade è quella del presentatore di Savona che, a Che Tempo Che Fa, si confrontava su quello che succede in Italia, l’immigrazione, la guerra, le scelte della politica. Fazio, alla destra, non è mai piaciuto. Quasi quarant’anni in Rai, ottimi ascolti, oggi non gli è stato rinnovato il contratto. La nuova casa sarà Discovery, sul Nove, un contratto lungo quattro anni. Con lui Luciana Littizzetto e il gruppo di lavoro. Salvini, su Twitter, è felice. Twitta: “Belli ciao”. In due parole ha ridicolizzato un inno partigiano, confermando l’epurazione che sta facendo in Rai il governo Meloni.

Fuortes stesso ha dichiarato che quello in corso è uno “scontro politico”. Scontro che indebolisce il servizio pubblico. “Non posso accettare il compromesso di condividere cambiamenti – sebbene ovviamente legittimi – di linea editoriale e una programmazione che non considero nell’interesse della Rai”, ha spiegato.

Cambiamenti inevitabili, certo. Manovre di acquisizione degli strumenti culturali da parte del governo ci sono sempre state, e non sono iniziate con l’esecutivo di Giorgia Meloni. La caratteristica di fondo che ha guidato tutta la televisione fin dalle origini è stata proprio quella di dare voce alla politica – che dovrebbe dare voce ai cittadini, a tutti, chiaro, e dunque facendosi il segno della croce davanti al principio del rispetto del pluralismo delle idee e delle opinioni politiche. E invece la nuova dirigenza sembra aver moltiplicato gli sforzi per piazzare persone fidate ai vertici di un’istituzione come quella del servizio pubblico radiotelevisivo.

Per esempio il 4 maggio è stato approvato dal consiglio dei ministri un decreto che imporrebbe il limite di 70 anni per il pensionamento degli amministratori con incarichi dirigenziali nelle strutture che rientrano all’interno del bilancio dello Stato, come teatri stabili e fondazioni lirico sinfoniche. Il che farebbe decadere l’incarico dell’attuale sovrintendente del teatro San Carlo di Napoli, il francese Stephane Lissner, 70 anni compiuti a gennaio. I legali di Lissner hanno subito intimato di fare ricorso, ma intanto il ruolo vacante sarebbe potuto essere offerto dal governo a Fuortes, così da liberare il posto a guida del consiglio di amministrazione della Rai per un funzionario più vicino al governo.

Quattro giorni dopo l’approvazione del decreto, Fuortes ha annunciato le sue dimissioni. Lasciato il ruolo un anno prima della scadenza del suo mandato, Fuortes ha dato al governo Meloni la possibilità di mettere al suo posto un dirigente più affine alla sua linea politica. Probabilmente Roberto Sergio, amico personale del senatore Pier Ferdinando Casini, entrato in Rai nel 2004. E forse con lui, come direttore generale, Giampaolo Rossi. Intellettuale molto vicino agli ambienti della destra, dato che è il direttore scientifico della fondazione di Alleanza Nazionale. Ha curato per anni un blog su Il Giornale. È anche convinto che Vladimir Putin sia l’unico che può salvarci dal complotto di Soros.

Nel frattempo si parla dei futuri palinsesti. Oltre a Fazio – sostituito, forse, da Massimo Giletti, che ha chiuso l’arena sul Nove? – potrebbe fare un passo indietro anche Corrado Augias. Amadeus, confermato conduttore del Festival di Sanremo fino al 2024, potrebbe non esserne più direttore artistico, dopo aver sconvolto la nuova dirigenza con l’ultima edizione – il bacio tra Fedez e Rosa Chemical la goccia che ha fatto traboccare il vaso, peggio dell’attacco del rapper milanese all’on. Galeazzo Bignani, di cui era apparsa una foto di gioventù vestito da nazista.

Salvi almeno Damilano e Annunziata, anche se odorano troppo di sinistra. Nessun dubbio sulla riconferma di Bruno Vespa a Porta a porta e Cinque minuti. Tra i ritorni, forse Nicola Porro, ora su Rete 4 con Quarta Repubblica, e compare, con insistenza, anche il nome di Pino Insegno. Che è sempre sul palco con Giorgia Meloni. A febbraio ha anche condotto l’evento del centrodestra dedicato alla candidatura di Francesco Rocca come presidente della Regione Lazio. C’è forse spazio anche per Hoara Borselli, che ha da poco chiuso la campagna elettorale del centrodestra a Brescia, spesso a Mediaset. E a proposito, è anche questo, per concessione privata e non politica, luogo della destra. Se si completa la marcia sulla Rai, quante reti in mano al governo?

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