Primo piano

L’affaire Mattei. Di verità si può anche morire?/3

di Otello Lupacchini

Quel che suscita le più gravi perplessità, ma soprattutto feroce indignazione, è che un personaggio come Marcello Colitti, il quale per il ruolo giocato illo tempore nell’Eni di Mattei e nell’Agip non può ritenersi né un ingenuo né uno inconsapevole dei plurimi e gravissimi elementi per definire gli scenari e i fantasmi aleggianti sul cadavere del fondatore dell’Eni, riferendosi, in particolare, all’ipotesi che questi fosse stato ucciso, abbia potuto dichiarare, in un’intervista rilasciata per l’archivio storico dell’Eni, successiva all’accertamento condotto dalle Autorità giudiziarie pavese e palermitana: «se è avvenuto, è avvenuto per ragioni che non posso immaginare, che non riesco a capire quali possano essere, di una tale gravità».

Tornerò in seguito sulle implicazioni del fatto che l’attentato ai danni di Enrico Mattei aprì un periodo nero per l’Italia, oscuro come il petrolio: nel 1969 vi fu la strage di piazza Fontana; l’anno dopo, il 16 settembre, un’automobile prelevò, sotto la sua abitazione Mauro De Mauro, fagocitandolo in una Palermo che non l’avrebbe più restituito; seguirono altre stragi e tentativi golpisti, fino a che, nel 1975, non fu la volta di Pier Paolo Pasolini a essere ucciso; dal 16 marzo 1978, peraltro, andò in scena la tragedia di Aldo Moro, iniziata con il sequestro del presidente ella Democrazia cristiana, a prezzo della strage della sua scorta in via Mario Fani, e chiusasi col rinvenimento del cadavere crivellato di colpi dell’ostaggio, cinquantacinque giorni dopo, il 9 maggio, adagiato nel bagagliaio di una Renault rossa, in via Caetani; e poi altre morti eccellenti e altre stragi, sino a quelle del 1992 e 1993. Per il momento, invece, mi limiterò a ricordare, per chi come Marcello Colitti lo avesse dimenticato, il tentativo di «eliminazione morale» di Enrico Mattei, attraverso un crescendo di manovre per allontanarlo dall’Eni e per distruggerne la reputazione, su su, fino alle minacce di morte e l’entrata a gamba tesa di Indro Montanelli sul settore dell’oro nero, con l’inchiesta sviluppata in cinque cospicui articoli, apparsi nella terza pagina del «Corriere della Sera», fra il 13 e il 17 luglio 1962.

Tanto per rinfrescare la memoria allo svagato Marcello Colitti e altrettali, conviene innanzitutto concentrare il fuoco dell’attenzione sull’uomo Mattei, il quale aveva tutte le caratteristiche, proprio da un punto di vista antropologico, dell’imprenditore: un innovatore, uno scopritore, un uomo che lanciava idee,  ma anche molto attento all’esecuzione; oggi unanimemente ricordato come una sorta di eroe italiano, ma ai suoi tempi ferocemente criticato, venendogli mossa l’accusa di avere introdotto la corruzione nella vita politica, di avere inventato il finanziamento illecito ai partiti, di avere rafforzato politicamente l’Unione Sovietica e materialmente il Pci con l’affare del petrolio sovietico. Un uomo di genio, il quale, pur avendo ben compreso fino in fondo che l’industria degli idrocarburi è un’industria di interconnessioni, che collega tra di loro popoli, culture, stati di avanzamento nella crescita economica diversi, certamente sottovalutò, nel contesto internazionale, l’enorme odio che questa politica stava sollevando contro di lui. L’operazione volta a far recuperare la memoria a Marcello Colitti e altrettali, comporterà, altresì, di porre mente, subito dopo, alle manovre tese all’«eliminazione morale» di Enrico Mattei; alle minacce di cui il presidente dell’Eni venne fatto oggetto; alla sua demonizzazione, attraverso una ben orchestrata campagna di stampa; alle pressioni politiche per ottenerne un’uscita di scena, sia pur traumatica, ma non tragica.Iniziata la sua carriera di piccolo industriale privato, prima in una conceria a Matelica, poi nel mercato delle vernici a Milano, dove si era trasferito nel 1928, Enrico Mattei, attraverso Marcello Boldrini, era entrato qui in contatto con gli eredi del Partito Popolare di don Luigi Sturzo. Era stato proprio il professore di Statistica all’Università Cattolica, anche lui di Matelica, ad aiutarlo, nei primi anni Quaranta, a uscire dall’anonimato politico, per assumere un ruolo di primo piano nell’Italia democratica, facendogli conoscere, a Roma, Giuseppe Spataro, già numero due di don Sturzo nel Partito Popolare, che avrebbe lavorato al fianco di Alcide De Gasperi e di Guido Gonella, insieme a Ivanoe Bonomi e ad altri personaggi dell’Italia prefascista, nei 45 giorni del primo Governo Badoglio. Spataro, a sua volta, segnalò Mattei al gruppo dei dirigenti cattolici milanesi, perché lo tenessero presente per compiti futuri. Così, quando dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, iniziò la stagione della Resistenza, Enrico Mattei fu designato rappresentante dei partigiani cattolici, nel Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia (Clnai), con l’incarico di gestirne le finanze. Veste nella quale fece il giro di tutte le formazioni partigiane dell’Italia Settentrionale, per rendersi conto delle diverse situazioni e necessità. L’unica a non reclamare aiuti, né in mezzi né in denaro, e a volere restare finanziariamente autonoma dal potere centrale era stata la brigata «Giovanni Di Dio», comandata da Eugenio Cefis, di quindici anni più giovane di Mattei, già ufficiale in servizio permanente effettivo, il quale, subito dopo l’8 settembre, aveva lasciato l’esercito italiano per unirsi ai partigiani, entrare, quindi, subito in contatto con gli americani della testa di ponte vicino a Bergamo e così stabilire un solido canale per copiosi rifornimenti.

(Segue)

Nella foto i resti del bimotore che trasportava Enrico Mattei

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