Politica

L’assetto istituzionale dell’Europarlamento è cambiato a sfavore di Meloni

di Fabiana D’Eramo

Definite le presidenze e le vicepresidenze delle commissioni dell’Eurocamera, si accende una spia per l’Italia: la credibilità internazionale che Giorgia Meloni aveva conquistato con il suo governo si sta esaurendo. Rispetto alla legislatura precedente, è stata persa una presidenza: l’eurodeputato forzista Salvatore De Meo non è stato riconfermato alla guida della commissione Affari Costituzionali. A portare a casa le cariche di maggior prestigio sono state le opposizioni, con Antonio Decaro, Pd, presidente della commissione Ambiente, e Pasquale Tridico, M5s, presidente della sottocommissione per le questioni fiscali. La destra italiana si è accontentata di alcune vicepresidenze, con FdI e FI a riempire le caselle. Unica poltrona di peso per Antonella Sberna, FdI, che al secondo turno ha ottenuto l’incarico per la vicepresidenza dell’Europarlamento come penultima per numero di voti. Per la Lega, niente. Vorrà pur dire qualcosa.

Per l’opposizione significa che Meloni non è una buona acrobata come pensavamo. Nemmeno una caduta fino ad ora, ma a forza di camminare su un filo teso tra interesse nazionale e solidarietà europea, tra sovranismo e atlantismo, ha perso l’equilibrio. Ha cominciato con il voto contro il presidente del Consiglio Europeo e all’Alto Rappresentante per la Politica Estera e di Sicurezza, e poi contro il bis di Ursula von der Leyen. “Ci sta consegnando all’irrilevanza”, ha commentato Enrico Borhi, capogruppo al Senato di Italia Viva. E perché? “Per correre appresso a Orbàn e a Salvini.”

Ma non è che la cattiva Europa abbia presentato il conto all’Italia. Come ha ricordato Antonio Tajani, “siamo la seconda manifattura, la terza economia, un paese fondatore”: l’Italia non smetterà semplicemente di esistere nell’Unione. Sarà, semmai, una nota a piè di pagina nelle decisioni europee, un asterisco da non perdere nel testo, a cui fare attenzione soprattutto nel peso della politica sui mercati, qualcosa da tenere d’occhio, da monitorare. Con i partiti della maggioranza tagliati fuori dai ruoli di comando in Europa, è chiaro che l’Ue vuole lanciare un messaggio a Meloni: l’affidabilità che ha mostrato finora piano piano sta svanendo. Qual è la sua forza, ora? Quale sicurezza? Una posizione politica debole nello scacchiere internazionale significa una posizione finanziaria debole in casa. Soprattutto ora che, in attesa della fine dell’estate, si dovrà iniziare a fare i conti con il Patto di Stabilità.

In questi giorni i riflettori sono stati tutti puntati sulle dinamiche internazionali – e perché farsi mancare il ritiro di Joe Biden e l’ombra di Donald Trump a stagliarsi su Palazzo Chigi come un invito? – ma è la politica interna a lanciare i maggiori segni d’allarme. Salvini e Tajani si fanno opposizione a vicenda, e la sinistra e il centro vorrebbero farsi vicini. È vero che Meloni non rischia minimante di saltare – è tranquilla perché dall’altra parte non si è palesato ancora nulla di altrettanto coinvolgente – ma tutti i tasselli si uniscono nel mosaico: Roma, Bruxelles e Washington fanno tutti parte dello stesso disegno, e sostenere la solidità della maggioranza mentre i due vicepremier bisticciano, pensare di avere il controllo sul proprio governo mentre si sta fuori dal perimetro europeista, così come dichiararsi atlantisti e con l’Ucraina e allo stesso tempo non rabbrividire all’idea di una rielezione di Trump, sta iniziando a distorcere i connotati degli attori della destra italiana. Nessuno più somiglia all’altro.

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