Medicina

Malattie cardiovascolari e rischio residuo: con nuove terapie, possibile ridurre i ricoveri del 5%

Oggi in Italia sono 800mila i pazienti in cura a seguito di un evento aterosclerotico-cardiovascolare e sottoposti quindi a ‘rischio residuo’, ovvero alla probabilità di sviluppare un evento cardiovascolare maggiore anche se in cura con le terapie standard raccomandate. Un nuovo approccio terapeutico per abbattere il 5% dei ricoveri nella cura del rischio cardiovascolare residuo potrebbe assicurare al Servizio Sanitario Nazionale un risparmio di 170 milioni di euro (considerando una remunerazione teorica delle prestazioni di ricovero ospedaliero pari a 3 miliardi di euro). È ciò che è emerso da uno studio realizzato da Altems (Alta Scuola di Economia e Management dei Sistemi Sanitari dell’Università Cattolica del Sacro Cuore) e presentato questa mattina nel corso dell’evento ‘Prevenzione cardiovascolare secondaria. Un nuovo paradigma di trattamento del rischio cardiovascolare residuo’,patrocinato dalle società scientifiche Sic, Anmco, Gise e dall’Intergruppo Parlamentare sulle malattie cardio, cerebro e vascolari. Le malattie cardiovascolari in Italia sono ancora la principale causa di morte, essendo responsabili del 44% dei decessi: in particolare, la cardiopatia ischemica è tra i ‘big killer’ nel 28% dei casi, mentre gli accidenti cerebrovascolari (13%) sono al terzo posto dopo i tumori. A livello globale, nel 2019, è stata stimata una prevalenza per le malattie cardiovascolari di 523 milioni di casi, tra malattie cardiache, cerebrovascolari e interventi di bypass aortocoronarico o angioplastica, con un costo di 210 miliardi l’anno solo nell’Unione europea. ‘Le malattie cardiovascolari sono in assoluto la prima sfida sanitaria per il paese perché rappresentano la causa di morte e di ricovero ospedaliero più diffusa in Italia, come in tanti altri paesi- ha commentato Pasquale Perrone Filardi, Presidente Sic (Società Italiana di Cardiologia)– E per i cittadini la sfida è essere curati al meglio, con tutto ciò che oggi la ricerca in campo biomedico fornisce in tema di prevenzione. È tantissimo quello che noi possiamo fare per ridurre il rischio cardiovascolare, tra coloro che non hanno avuto un evento e anche tra coloro che un evento l’hanno già subito. Spetta a noi e spetta alla politica mettere a terra tutte le possibilità che oggi la scienza ci mette a disposizione. Oggi questa è una sfida assolutamente importante, che va intensificata anche alla luce delle tante differenze che purtroppo oggi esistono, a livello nazionale e persino all’interno delle singole regioni, nell’accesso alle cure e in generale alla prevenzione cardiovascolare’. Nel nostro Paese i disturbi dell’apparato cardiocircolatorio rappresentano, inoltre, la maggiore causa di ricovero: nel 2019 si sono registrate per queste patologie 863.505 dimissioni (14,3% del totale), con 6.222.673 giornate di degenza (7,2 giorni di degenza media). Le malattie cardiovascolari rappresentano, quindi, una delle voci più impattanti sulla spesa farmaceutica in Italia. Dal Rapporto Osmed 2021 risulta che la spesa complessiva pro capite per i farmaci dell’apparato cardiovascolare è pari a 54,92 euro, in aumento del 2,2% rispetto all’anno precedente. Tutto questo va poi iscritto in un quadro di cronicità: chi sopravvive a un attacco cardiaco diventa infatti un malato cronico, con complicazioni che causano notevoli ripercussioni sulla qualità della vita e sui costi economici e sociali che la società deve affrontare. In Italia il 40% della popolazione, circa 24 milioni, è affetto da almeno una patologia cronica e, negli over 65, circa il 50% soffre di almeno 3 o più condizioni croniche. Ad oggi, si registrano 66,7 miliardi di spesa per la cronicità, con una previsione di aumento a 70,7 miliardi nel 2028. ‘C’è bisogno di una strategia comune in Italia- ha affermato la senatrice Elena Murelli (Lega), Presidente dell’Intergruppo Parlamentare sulle malattie cardio, cerebro e vascolari- Servono investimenti su ricerca e sviluppo, per trovare nuovi farmaci, sull’innovazione tecnologica, ma soprattutto serve ascoltare direttamente i pazienti per creare una rete tra personale sanitario, ospedaliero e gli stessi pazienti, che sono i primi a poter dare feedback sulla malattia stessa’.

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