Esteri

Meloni e Trump: tra applausi e poche certezze in un Occidente sempre più instabile

di Viola Scipioni

 

A Washington, Giorgia Meloni ha affrontato uno dei passaggi più delicati della sua carriera politica.

In una settimana segnata anche dalla morte di Papa Francesco – evento che ha scosso profondamente l’opinione pubblica mondiale –, la premier italiana si è seduta nello Studio Ovale con Donald Trump, sfidando le insidie della diplomazia moderna, dove ogni gesto è amplificato e trasformato in spettacolo.

Accolta da lodi traboccanti – «Giorgia è una persona eccezionale», «una dei veri leader del mondo»

– Meloni ha saputo condurre l’incontro senza sbavature. Il momento più emblematico si è verificato durante la discussione sull’Ucraina: Meloni risponde in italiano su Putin e Zelensky; Trump, deciso a non lasciare spazio a incomprensioni come già accaduto in passato con la Francia, chiede una traduzione precisa. L’interprete esita, allora Meloni prende in mano la situazione e traduce lei stessa le sue parole, rassicurando l’interlocutore e dimostrando prontezza di spirito.

Un dettaglio, ma decisivo. In quel gesto si è vista la capacità di Meloni di muoversi con lucidità in un contesto, quello americano, dove il confine tra realtà e rappresentazione è ormai sottilissimo.

Trump non è soltanto un politico: è un prodotto dell’iperrealtà americana, quell’universo dove la finzione non solo accompagna la realtà, ma finisce per sostituirla. Il Presidente incarna la politica come un film: colpi di scena, applausi calcolati, maschere che cambiano in base all’audience.

Anche l’incontro con Meloni, pur costruito con cura, ha risentito di questo clima. Le promesse sono arrivate – Trump ha garantito di trovare «al 100%» un accordo sui dazi con l’Europa – ma senza impegni concreti immediati. Più che i risultati, conta l’immagine trasmessa: la premier italiana salda, autonoma, capace di parlare da pari a pari con il campione della politica-spettacolo, che sta facendo di tutto per dimostrare ai suoi elettori di poter fermare il conflitto tra Ucraina e Russia prima dei cento giorni del suo secondo mandato.

«Qualcuno mi ha definito una nazionalista occidentale», ha detto Meloni. «Non so se sia la parola giusta. Sono qui per trovare il modo migliore per rafforzare entrambe le sponde dell’Atlantico».

In un mondo dove anche Hollywood premia più i messaggi che l’arte – come dimostra il caso dell’edizione degli Oscar di quest’anno –, Meloni ha scelto di giocare una partita diversa: non inseguire lo scandalo o l’applauso facile, ma puntare sulla solidità, sulla prevedibilità come nuova forma di leadership.

La morte di Papa Francesco, sullo sfondo, è apparsa quasi come un contrappunto amaro: mentre il mondo perde uno dei suoi simboli globali più riconoscibili, la politica internazionale si muove sempre più in una dimensione di continua recita e instabilità.

Meloni, in questo scenario, ha cercato di portare una postura diversa: quella di chi sa che nella stagione dell’iperrealtà l’unica vera forza è l’adesione alla realtà. Riuscirci, in un Occidente sempre più incline alla finzione, sarà la sfida dei prossimi anni.

Tuttavia, a ben guardare, resta difficile indicare con precisione quali risultati concreti Meloni abbia portato a casa da Washington.

Oltre ai toni entusiasti di Trump e all’impegno generico di cercare un accordo sui dazi, non sono emersi accordi vincolanti né nuove intese operative.

Sul fronte commerciale, la trattativa sui dazi resta incerta, e l’incontro non ha prodotto impegni ufficiali né con Bruxelles né con Roma. Sulle spese militari, Meloni ha confermato l’impegno dell’Italia a raggiungere il 2% del PIL, ma era un obiettivo già fissato a livello NATO.

Anche la promessa di Trump di visitare Roma «in un futuro prossimo» resta priva di una data, e più che un impegno diplomatico appare come un gesto di cortesia. Sì, la morte di Papa Francesco ha permesso a Trump di tornare a Roma e di scambiare qualche chiacchiera con Zelensky, ma ciò sarebbe successo se il Santo Padre fosse ancora vivo e se Trump non avesse obiettivi legati alla sua politica-spettacolo?

In definitiva, l’incontro è stato un successo soprattutto sotto il profilo dell’immagine e della narrazione politica interna: Meloni si è dimostrata padrona della scena, capace di reggere il confronto con un leader imprevedibile come Trump.

Ma per quanto riguarda gli effetti pratici sulle relazioni internazionali o sull’economia, servirà tempo – e altri passaggi concreti – per capire se davvero questo viaggio si tradurrà in vantaggi reali per l’Italia e per l’Europa.

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