Economia e Lavoro

Natalità e demografia, tanti i pericoli per il Mezzogiorno ed il mercato del lavoro

di Natale Forlani

Il numero delle persone residenti in Italia alla data del 1 gennaio 2024 (58,990 milioni) è rimasto sostanzialmente stabile rispetto a quello dell’anno precedente (-0,1 per mille equivalente a 7 mila persone), ma il rallentamento della decrescita della popolazione è essenzialmente dovuto al saldo migratorio positivo e al consistente aumento della popolazione di origine straniera. Il dato è contenuto nel bollettino pubblicato dall’Istat nella giornata di ieri che fornisce alcune anticipazioni sull’evoluzione delle caratteristiche della popolazione residente in attesa del rapporto finale. L’andamento del saldo naturale, ovvero la differenza tra i decessi e le nuove nascite, rimane tendenzialmente negativo (-281 mila). Migliora sul versante dei decessi, 661 mila (-8%), che si riportano sui numeri precedenti alla pandemia Covid-19, ma il saldo finale sconta l’ennesimo calo delle nuove nascite, 379 mila (-14 mila). Una tendenza legata all’ulteriore riduzione del tasso di fecondità per ogni donna fertile (1,24) e del loro numero (circa 2 milioni in meno rispetto a 10 anni fa). Il calo delle nascite risulta uniforme su tutto il territorio nazionale. L’aspettativa di vita torna ad aumentare di 6 mesi (83,1 anni), ma si allontana la condizione di riportare le nuove nascite sui livelli della prima parte del nuovo millennio (577 mila del 2008). Il saldo migratorio con l’estero risulta largamente positivo (+274 mila) e compensa quasi integralmente la riduzione di quello naturale. È il risultato finale del forte aumento delle persone di origine straniera (+326 mila) e della parziale riduzione dell’emigrazione degli italiani verso altri Paesi. L’effetto di queste tendenze ha comportato un aumento della popolazione di origine straniera in assoluto (+166 mila) e in termini di incidenza sulla popolazione residente (9%, equivalenti a 5,308 milione di persone). Numeri che tengono conto dei 200 mila ex stranieri diventati nel frattempo cittadini italiani nel corso dell’anno. Il risultato finale offre una conferma dell’attenuazione del tasso di decrescita della popolazione registrato nel corso degli ultimi 10 anni (-2,8 per mille in media annua), ma non deve indurre a sottovalutare gli squilibri generazionali e territoriali che derivano dalle tendenze appena descritte. La stabilità della popolazione residente in Italia è il risultato dell’aumento di quella insediata nelle regioni del Nord (+2,7%) e di un’ulteriore e preoccupante riduzione delle persone residenti nelle aree del Mezzogiorno (-4,1% equivalenti a -126 mila unità). È la conseguenza spontanea dell’effetto di attrazione delle risorse umane nelle regioni e nei territori economicamente più dinamici e che orientano i nuovi flussi migratori dei lavoratori stranieri e di una quota non marginale di giovani meridionali alla ricerca di migliori opportunità lavorative. Questi flussi migratori compensano la decrescita del saldo naturale nelle aree più sviluppate, ma concorrono allo spopolamento delle aree meridionali, in particolare quelle dell’entroterra, e ad aumentare il tasso di invecchiamento della popolazione rimanente. Questi dati meritano alcune riflessioni perché mettono in seria discussione la congruità degli approcci culturali e delle politiche che sono state adottate per contenere l’impatto negativo delle tendenze demografiche. La riduzione del numero delle donne fertili vanifica qualsiasi possibilità di una ripresa significativa della natalità. L’effetto negativo del declino demografico si è già trasferito sulla popolazione in età di lavoro. Nei prossimi 15 anni i tassi di uscita della popolazione attiva anziana dal mercato del lavoro risultano di gran lunga superiori al potenziale delle coorti d’ingresso delle giovani generazioni. Le attuali politiche per l’immigrazione scontano la bassa qualità dell’occupazione offerta. Il 35% della popolazione straniera regolarmente residente in Italia è in condizioni di povertà assoluta. Ricostruire, partendo dalle condizioni date, la popolazione attiva e migliorare la quantità e la qualità dell’occupazionerappresenta una sfida che fa tremare i polsi. La spiegazione del perché tarda a essere assunta dalla classe dirigente del nostro Paese.

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