Primo piano

Otello Lupacchini e il rapporto tra ‘paura e potere’. Il nuovo libro del Giusfilosofo/2

 

Sant’Agostino: “Se non è rispettata la giustizia, cosa sono gli Stati se non delle grandi bande di ladri”? Gustav Le Bon: “Non appena si possiede la forza si cessa di invocare la Giustizia”

 

di Otello Lupacchini

 

Benedetto Croce considera la legalità come primo grado della vita pratica, condizione della vita morale e della libertà, poiché essa implica, per un verso, che solo la formulazione legislativa può garantire la certezza del diritto e, quindi la certezza della libertà, e, per altro verso, che non è condizione sufficiente che il diritto sia formulato in leggi, essendo altresì necessario che le leggi siano costruite attraverso un costante procedimento fissato in anticipo, in modo che sia retto dalla legalità anche il metodo di emanare le leggi. Il principio di legalità, dunque, non riguarda soltanto la struttura delle proposizioni in cui il diritto viene formulato, ma anche la costituzione e il metodo degli organi ai quali è affidato l’ufficio di formularlo.

Senza che vi sia bisogno d’intrattenersi sulla «putrefazione degli organi legislativi», in Italia, durante il regime fascista, con «Il Senato e la Camera (…) ridotti a società corali», i cui membri venivano chiamati a «cantare nelle feste comandate gli inni della patria e della rivoluzione», con «addosso quelle monture da lugubri bandisti da funerale, colla mappa oscillante», pronti «i secchioni» ad esibirsi «al cenno» , è da sola sufficiente la parabola hitleriana a dimostrare, oltre ogni ragionevole dubbio, che, quando la forza del sovrano è al riparo da possibili scosse, la dottrina della legalità vigoreggia; quando, invece, questo non è, allora si proclama lo stato d’eccezione, ad esempio, sospendendo la pratica elettorale o, in tempo di guerra, la libertà di stampa.

Nel diritto romano, del resto, esisteva un istituto, vero e proprio archetipo del moderno Ausnahmezunstand, (Stato d’eccezione) che, pur senza aver ricevuto sufficiente attenzione da parte degli storici del diritto e dei teorici, tuttavia produceva paradossalmente un vuoto giuridico, poiché implicava una sospensione non già soltanto dell’amministrazione della giustizia, ma addirittura del diritto come tale: lo iustitium.

Questa sospensione del diritto era decretata da un senatus consultum ultimum, provvedimento che il Senato emetteva quando avesse avuto notizia di una situazione che metteva in pericolo lo Stato. Con esso affidava ai sommi magistrati in carica – i consoli o coloro che ne facevano le veci a Roma, interrex o proconsoli – e, in taluni casi, anche ai pretori e ai tribuni della plebe, ma, al limite, anche a ogni cittadino, di prendere qualsiasi misura si fosse resa necessaria per la salvezza della res publica: il senatus consultum ultimum, almeno nella maggior parte dei casi, fu lo strumento mediante il quale, nell’ultimo secolo della Repubblica, i patresintervenivano a risolvere i momenti di rottura nella lotta fra ottimati e popolo, degenerante in guerra civile, rivestendo di legalità quanto il loro partito si accingeva a compiere per sopraffare gli avversari. Per spiegare il presente, come ognun vede, nulla è meglio di un tuffo nel passato.

A.V.

2-fine

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