Economia e Lavoro

Pensioni, fa capolino quota 102

Al tavolo della riforma arriva una nuova proposta transitoria per evitare lo scalone della Fornero: 64 anni di età e 38 di contributi. Stop della Lega e dei Sindacati che chiedono più flessibilità in uscita

Quota 102 per le pensioni nel 2022, per poi passare a quota 104 l’anno successivo, nel 2023. Sarebbe l’ultima idea che si è palesata nella cabina di regia sul Dpb e poi portata anche in Cdm dal ministro dell’Economia Daniele Franco per riformare quota 100, bandiera della Lega approvata dal primo governo Conte per superare la legge Fornero. Va detrto, però che sul tavolo di confronto non c’è ancora alcun accordo. Quota 102 è una proposta di una fase transitoria di due anni per il superamento di quota 100, con “quota 102” per due anni, supponendo forse un’uscita a 64 anni con 38 di contributi. L’obiettivo sarebbe quello di spezzare lo scalone che si verrà a creare tra la fine di Quota 100 (31 dicembre di quest’anno) e il ritorno nel 2022 ai requisiti ordinari della legge Fornero per l’accesso alla pensione ossia a 67 anni per la vecchiaia e 42 anni e 10 mesi per l’anticipata (un anno in meno per le donne), a prescindere dall’età anagrafica. Sul punto però c’è la netta opposizione di Salvini e della Lega che invece vorrebbero una maggiore flessibilità, così come chiedono anche i Sindacati che ribadiscono la loro posizione con questa proposta: “È necessario estendere la flessibilità nell’accesso alla pensione, permettendo alle lavoratrici e ai lavoratori di poter scegliere quando andare in pensione, senza penalizzazioni per chi ha contributi prima del 1996, a partire dai 62 anni di età o con 41 anni di contributi a prescindere dall’età. Questa proposta è ancor più sostenibile considerando che siamo ad un passaggio di fase decisivo per il sistema previdenziale in quanto le future pensioni saranno liquidate prevalentemente o esclusivamente con il calcolo contributivo. Contestualmente vanno sensibilmente ridotti i vincoli che nel sistema contributivo condizionano il diritto alla pensione al raggiungimento di determinati importi minimi del trattamento (1,5 e 2,8 volte l’assegno sociale), penalizzando in questo modo i redditi più bassi”.

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