Politica

Renzi: il Terzo Polo è finito, ora vuole Schlein e Conte

di Fabiana D’Eramo

Nell’abbraccio tra Matteo Renzi ed Elly Schlein alla Partita del cuore potrebbero essere germogliati i semi di un’alleanza strategica tra Italia viva e il Partito Democratico. Ma anche con Conte.

“E’ stato bello giocare insieme per dare una mano agli ospedali pediatrici”, ha detto Renzi, il campo da calcio un surrogato di quello che potrebbe essere Palazzo Chigi. “L’abbraccio nasce dal fatto che avevamo fatto una grande azione e Elly aveva segnato anche grazie al mio assist. Peccato il gol annullato per fuorigioco…”

Non vuole sprecare un altro gol, Renzi. Schlein aveva già teso la mano: dopo il successo alle Europee, aveva detto di costruire un’alternativa senza veti. “Questo significa che cade il veto che su noi era stato messo nel 2022”, ha dichiarato il leader di Italia viva. “Ma anche noi abbiamo un obbligo, allora: non possiamo mettere veti sugli altri, a cominciare dai Cinque Stelle.”

E questo significa che bisogna scegliere. O insistere con il Terzo Polo oppure prendere “atto che il centro è decisivo solo se si allinea in modo strutturale”. Renzi sembra aver già deciso. Vuole puntare su Schlein e Conte e costruire un “centro che guarda a sinistra”. E questa sarebbe un’alleanza che “non solo è possibile, ma è anche l’unica alternativa per evitare che ci teniamo per lustri Giorgia Meloni con sorelle, cognati e compagnia cantante.” È un’opportunità che, soprattutto oggi, non bisogna sprecare. “La maggioranza è divisa su tutto”, ha spiegato il leader di Italia viva, “dalla politica estera ai vaccini per i bambini. Però sta insieme grazie al potere, perché usa il potere, senza pudore. L’alternativa è semplice: subire o reagire. Per reagire va costruita l’alternativa.”

Renzi sta facendo i suoi conti. Immagina già la fine del governo Meloni prima del termine della legislatura, prevede che sarà proprio la premier a decidere la caduta – per evitare di perdere il referendum costituzionale e perché, “se anche trova i soldi della Legge di Bilancio 2025, sull’anno successivo è strangolata dai vincoli.” In quel caso, ha detto, “la via maestra è andare a votare. E siccome la presunta elezione diretta della Meloni è talmente pasticciata che non vedrà mai la luce, io dico subito che per me il candidato premier deve essere il leader o la leader di partito che prende più voti nella coalizione.”

Considerando che alle Europee ha sfiorato il 4% è sicuro che sarebbe decisivo alle prossime politiche, con la differenza di una trentina di collegi marginali l’apertura a Schlein e Conte sarebbe fruttuosa per tutti. E siccome l’obiettivo è arrivare un centimetro, anche solo uno, più in là della coalizione di destra, è tempo di mettere da parte i vecchi dissapori.

Certo, ha ammesso, non rinnega tutto ciò che ha fatto: “aver mandato a casa Salvini al Papeete, aver portato Draghi, aver costruito le condizioni per il bis di Mattarella”, e molto di questo ha a che fare con la caduta di Conte, ma “accettare la nuova sfida significa costruire una coalizione organica dove noi proviamo a occupare il campo riformista almeno come altri provano a occupare lo spazio più a sinistra.” Per quanto riguarda le differenze e i temi di contrasto, forse è della stessa opinione di Schlein: si sta uniti ma si rimane partiti diversi. Sul Jobs Act non cambierà idea. Su Giovanni Toti, mentre Conte e Schlein sono andati a chiedere le dimissioni del presidente della Regione Liguria, il leader di Italia viva non si esporrà. “Non ho mai chiesto le dimissioni di un politico perché indagato e non inizierò adesso. Il garantismo per me è un valore costituzionale e non cederò mai all’uso politico della giustizia come hanno detto anche gli amici di Più Europa. Ho vissuto sulla pelle della mia famiglia il giustizialismo della Meloni e dei suoi alleati ma non per questo li ripagherò con la stessa moneta.”

Eppure questo non sembra essere l’unico scoglio da superare. Innanzitutto il leader dei Cinque Stelle è scettico: “Renzi fino ad ora si è vantato di aver mandato a casa il governo Conte in piena pandemia, e oggi dice che Conte è assolutamente un suo interlocutore privilegiato?”, ha commentato, e poi ha tagliato corto: “La politica è una cosa seria.” E a non essere convinti dell’apertura sono anche gli stessi di Renzi. Luigi Marattin ha frenato il leader: a decidere deve essere tutta la comunità di Italia viva. Raffaella Paita, invece, ha ribattuto che se Conte non li vuole in coalizione per loro è come indossare una medaglia. Si vedrà, dunque, come verrà accolta la proposta che Renzi porterà all’Assemblea nazionale.

Nel frattempo, Carlo Calenda, che già a Schlein aveva dato il due di picche, scrolla le spalle e passa avanti. “Matteo”, ha commentato, “si alleerebbe anche con i nazisti dell’Illinois”.

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