Politica

Sardegna e manganelli smuovono gli equilibri: il governo traballa ma l’opposizione non è ancora uscita dalle sabbie mobili

di Fabiana D’Eramo

Abbiamo visto in una manciata di giorni che la maggioranza non è più tanto solida e che l’opposizione può vincere. Le matite e i manganelli hanno rovesciato i rapporti di forza a cui eravamo abituati. In verità è da un pezzo che la maggioranza di governo viene data per spacciata, che lo spettro di uno sgretolamento infesta le cronache politiche. Ma mai come in questo momento il governo Meloni è sembrato così friabile. A maggior ragione dopo aver perso le regionali in Sardegna, a favore di Alessandra Todde, spinta da Pd e Cinque Stelle uniti. Ma questo non significa che all’opposizione si sia deciso di creare un’alternativa solida. Anzi. Il terreno si sgretola anche sotto i loro piedi. Si sgretola sotto i piedi di tutti.

Dove cammina il governo il sentiero è imprudente. Le manganellate sugli studenti di Pisa (nella foto) hanno turbato tutti, ma nessun esponente della maggioranza è saltato sulla sedia, tant’è che si sono fatti tirare le orecchie da Sergio Mattarella. Un conflitto istituzionale, quello tra Palazzo Chigi e Quirinale, che fa sembrare la richiesta di impeachment avanzata dal Movimento 5 stelle nel 2018 una battuta. Perché alla base del conflitto di oggi sembra esserci la riforma costituzionale del premierato. Emarginata l’autorità di garanzia espressa dal presidente della Repubblica, si vorrebbe sancito il ruolo massiccio del capo del governo eletto direttamente del popolo con maggioranza parlamentare precostituita. Lo scontro è simbolico.

Solo il ministro Piantedosi ha condiviso il richiamo di Mattarella. Meloni, al contrario, ha fatto sapere al Tg2 Post che la prorità è non “togliere il sostegno delle istituzioni a chi ogni giorno rischia la sua incolumità per garantire la nostra”. Della stessa idea, Matteo Salvini, ha commentato prima di tutto: “giù le mani dalle forze dell’Ordine”. Forse ha visto male il video, forse non ha fatto caso che le mani le hanno alzate loro.

Ma proprio Salvini è un punto su cui riflettere. Il Veneto di Luca Zaia gli impone lo sfratto, in Sardegna la Lega è andata molto male, l’agenda anti-immigrati non tira quanto un tempo e il nome stesso di Salvini ha perso tutto il suo appeal. Per ricavarsi uno spazio, il ministro delle Infrastrutture continua a spostarsi su posizioni estremiste, ma non è più il 2019, e i suoi consensi precipitano. La forza della destra adesso si deve concentrare tutta su Meloni, e il peso è enorme sulle sue spalle.

La premier non riesce a scrollarsi di dosso le accuse di uno stato squadrista. Ora, nonostante sembri formidabile nei sondaggi, ha perso anche le prime regionali da presidente del Consiglio. Eppure è presto per intuire il futuro politico dell’Italia. Non è che l’opposizione non sia ancora nelle sabbie mobili.

Il successo sardo di Pd e Cinque Stelle non getta ancora le basi per il ritorno di un’alleanza strategica. Fino al giorno delle elezioni europee di giugno ci sarà tempo per parlare, ma già da adesso si sa che nessuno degli attuali leader dell’opposizione può pretendere di guidare una coalizione di centrosinistra.

Di Elly Schlein non sono contenti nemmeno all’interno del suo stesso partito, Conte vorrebbe parlare a un elettorato di sinistra con un programma borderline che non saprebbe scegliere nemmeno tra Joe Biden e Donald Trump. Gli europeisti-riformisti bisticciano. Matteo Renzi si candida in tutta Italia e inizia la campagna elettorale a Londra, la patria della Brexit, in attesa che gli altri decidano che fare per le elezioni Europee. Emma Bonino propone la lista per gli Stati Uniti d’Europa, che per ora convince Italia Viva, socialisti e liberaldemocratici, ma se con lei ci sono i radicali storici, dall’altra parte di +Europa Federico Pizzarotti e i suoi seguaci preferiscono una lista con Azione.  Ed è proprio questo il dramma. Si vuole fare opposizione dura e si deve fare con persone che si disprezzano e che non si vogliono vedere. E mentre si cerca un modo per far tornare i conti non c’è modo di confessare che in realtà balbettano, che ci vedono poco, che sanno leggere ma non scrivere, che sarebbe il modo di rispondere in termini più onesti alla questione della mancanza di un’alternativa solida.

Come se tutto traballasse da una parte all’altra, né sinistra né destra e né tantomeno chi sta in mezzo è in grado di trovarsi un centro.

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