Cultura, Arte e Libri

Arte e identità della specie umana, il saggio storico di Gabriele Simongini

Cosa ha determinato il passaggio del Museo da luogo di conservazione della memoria attraverso opere d’arte da “vedere” a quella di luogo dove il pubblico, ignorando il “contenuto” del Museo, assiste a show e performance di ogni tipo (dai concerti di musica classica e operistica al jazz, alle danze popolari, alle sfilate di moda, alla presentazione di libri e di automobili) e alla publicizzazione di opere, cosiddette d’arte, da “vivere” che trasformano il patrimonio collettivo a oggetto di svago con il quale “distrarsi e stordirsi con qualcosa di insolito e inebriante, con qualche amena curiosità da vivere in modo interattivo come un passatempo qualsiasi”?.

La risposta è nell’ultimo saggio del giornalista e storico dell’arte Gabriele Simongini  “Arte e identità della specie umana” (Manfredi Edizioni, pag. 56, Euro 12,00) nel quale denuncia la mercificazione della cultura e che l’arte è diventata “creatività teatralizzata al servizio del profitto, dell’investimento e dell’intrattenimento, come qualsiasi altro prodotto, gestito da un’avanguardia finanziaria che ha sostituito quella artistica, cosi come il monetarismo è diventato l’unico monoteismo oggi dominante”.

La cultura e l’arte che la esprime sono sempre più oggetto di una aggressione parassitaria da parte della moda, del design, dei social network, della speculazione finanziaria e del marketing che è parallela alla costante, progressiva cancellazione della memoria e della natura alla quale stiamo assistendo passivamente se non partecipando attivamente con i nostri comportamenti quotidiani.

Da troppo tempo, evidenzia Simongini, nessuno si assume più la responsabilità di provare a dire quel che è arte da quel che non è. Perché se ogni cosa “prodotta dalla creatività” è arte, cosa la rende artisticamente diversa da tutte le altre cose al punto di diventare “memoria” per le future generazioni?

Ha ragione Jean Clair, afferma Simongini: “Tutti creativi, nessun creatore”. Cosi come non si può dar torto a quanto diceva Piero Dorazio: “la parola Artista e ormai obsoleta. Andiamo verso la specializzazione e allora ci saranno: Pittori, Scultori, Compositori di addobbi o installazioni, Arredatori Urbani, Video autori, Trasformatori di Materie, Killers di Nature Morte e Trovarobe. I pittori e gli scultori saranno i più rari fra questi specialisti, poiché dovranno lavorare non sulle apparenze, bensì sulla sostanza del linguaggio dell’Arte, quindi essi saranno sempre più incompresi, marginali”

Hannah Arendt affermava che “Solo ciò che sopravvive nei secoli potrà rivendicare il titolo di oggetto culturale”. Purtroppo il “giudizio della posterità”, come lo definiva Valery, è oggi sostituito dai sommari e bruschi giudizi sui post dei social network, destinati a consumarsi nel nulla, in pochi attimi.

Bisogna riconoscere che sono cadute nel vuoto dell’indifferenza le riflessioni di Bill Viola sulla necessità genetica dell’arte per gli esseri umani: “Fin dall’inizio dei tempi, per gli esseri umani servirsi delle immagini e crearle è un fatto talmente fondamentale che dobbiamo considerarlo parte essenziale dell’esistenza umana, come il sesso”; l’arte va intesa come “ramo della conoscenza […] e non un semplice esercizio estetico”. E quella di Ennio Calabria per il quale “l’arte sospende il tempo” riuscendo a mantenere intatta l’ipotesi di continuità.

E avere il “coraggio” di Marc Fumaroli, auspica l’autore, che giustamente ha più volte stigmatizzato l’atteggiamento passivo (se non complice) delle istituzioni preposte alla salvaguardia della cultura: “Perche nascondere ai cittadini il fatto che l’arte cosiddetta ‘contemporanea’, questa immagine di marca inventata di sana pianta dal mercato finanziario internazionale, non ha più niente in comune né con tutto quello che fino ad oggi abbiamo chiamato ‘arte’ né con gli autentici artisti viventi, ma non quotati in questa Borsa? […] La chiave del malessere attuale è il conflitto di interessi velato che ha indebolito, se non proprio annullato, la distinzione classica fra Stato e mercato, fra politica e affari, fra servizio pubblico e interessi privati, fra servitori dello Stato e collaboratori di uomini d’affari”. La vera arte dovrebbe crescere e misurarsi nei tempi lunghi della natura e del cosmo, non in quelli effimeri dell’intrattenimento e in quelli speculativi del sistema finanziario. I tempi lunghi della contemplazione sono stati sostituiti da quelli istantanei e rapidissimi della connessione. Troppa arte contemporanea chiede al suo pubblico di regredire, di rinunciare a risultati assoluti, di accontentarsi di un frammento, di una trovata o di una mezza idea.

Si stanno perdendo la “natura” e il “potere” della vera opera d’arte perché nel sistema dell’arte, denuncia Simongini, sono sbarcate orde di “curatori indipendenti” che non sanno scrivere né conoscono la storia dell’arte, ma creano “eventi” a scopi mercantili scimmiottando qua e là teorie antropologiche o sociologiche. Armati delle più aggiornate strategie di marketing essi sbarcano nel campo ecumenico dell’arte contemporanea e vengono accolti a braccia aperte, osannati per la loro capacita “innovativa”, un nuovo che subito si trasforma in obsoleto. E non si limitano a fare gli artisti ma diventano anche manager, organizzatori, curatori, direttori artistici e quant’altro, dimostrando sempre di più il ruolo assolutamente marginale riservato oggi agli storici dell’arte dalle istituzioni pubbliche.Cosi dominano l’idea di un’arte intesa come passatempo divertente e l’impotenza creativa mascherata da opere che hanno bisogno di una legittimazione verbale per esistere. Il lusso, il glamour e la superficialità hanno preso il posto della riflessione sull’intensità e sul potere catartico dell’arte.

L’arte è inutile, nel senso più alto e nobile del termine, ovvero è svincolata e sciolta da qualsiasi calcolo pragmatico ed economico. Essa, afferma Gabriele Simongini, deve “coltivare l’umanità” ed aiutarci in una critica sensata della cosiddetta retorica tecnologica. Oggi in particolare il destino dell’arte è quello di continuare a difendere i valori umani e la forza dell’immaginazione nel loro senso più alto. Per l’autore il sistema dell’arte, deve essere “democratico” rispettoso delle potenzialità di tutti i linguaggi, senza esclusioni a priori, snobistiche e dogmatiche. Un’arte capace di salvaguardare l’identità della specie umana dovrebbe riallacciare legami profondi e originari con la memoria e con la natura, svincolandosi il più possibile dall’abbraccio mortale dell’intrattenimento e della strategia puramente speculativa del sistema finanziario. Dovrebbe essere un mezzo di conoscenza e fondarsi sui tempi lunghi della contemplazione invece che su quelli istantanei e rapidissimi della connessione, nella convinzione che l’innovazione è sempre parte della tradizione, intesa anche come patto fecondo fra generazioni.

Vittorio Esposito

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