Medicina

Dal Gemelli riflettori su cervelli virtuali in 3D per pianificare la chirurgia all’intelligenza artificiale che predice la prognosi del glioblastoma.

 

Brain Awareness Week, la settimana mondiale del cervello vede protagonisti gli esperti dell’Università Cattolica, Campus di Roma – Fondazione Policlinico A. Gemelli con tanti progetti all’avanguardia per migliorare la sopravvivenza dei pazienti con glioblastoma.

                            

Dagli algoritmi dell’intelligenza artificiale per predire la prognosi del paziente con glioblastoma e pianificare gli interventi terapeutici alla costruzione di ‘’cervelli-avatar” in 3D del singolo paziente per pianificare l’intervento neurochirurgico in maniera tale da preservare il più possibile le aree “sensibili” del cervello, deputate a funzioni cruciali, dal movimento al linguaggio: sono solo alcuni degli approcci all’avanguardia utilizzati dal team della dottoressa Simona Gaudino, ricercatrice della sezione di Radiologia del Dipartimento di Scienze Radiologiche ed Ematologiche della Facoltà di Medicina e chirurgia dell’Università Cattolica e Responsabile UOSD Neuroradiologia Diagnostica dell’Advanced Radiodiagnostics Center (ARC) della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, presentati in occasione della Brain Awareness Week (13-19 marzo), la Settimana di sensibilizzazione sul cervello, una campagna globale per promuovere l’entusiasmo e il sostegno del pubblico nei confronti della scienza del cervello. Ogni mese di marzo in tutto il mondo vengono organizzate attività per condividere le meraviglie del cervello e l’impatto che la scienza del cervello e le neuroscienze hanno ha sulla nostra vita quotidiana.

 

CERVELLO AVATAR IN 3D

Tecnicamente detta “Presurgical planning”, la metodica sviluppata e messa a punto grazie alla collaborazione di un team multidisciplinare, consente di “navigare” nel cervello e prepararsi alla migliore chirurgia possibile riducendo i danni alle strutture cerebrali sensibili, che svolgono funzioni chiave come il controllo motorio o il linguaggio.

“Utilizzando la Risonanza Magnetica – spiega la dottoressa Gaudino – possiamo ricostruire un modello tridimensionale del cervello, che permette al neurochirurgo di programmare la “traiettoria” chirurgica, “navigando” con particolari software nel cervello stesso, come in un ambiente tridimensionale. In questo modo il neurochirurgo capisce in anticipo come “evitare” le strutture cerebrali più delicate, per esempio quelle vascolari e ridurre i sanguinamenti intra-operatori, con un approccio totalmente “personalizzato”.

Inoltre si può sovrapporre l’immagine tridimensionale del tumore, valutando così il suo volume nello spazio, e sovrimporre le cortecce cerebrali vicine e quelle aree del cervello preposte alle funzioni primarie: motilità, sensibilità, vista, linguaggio, memoria. Infatti, con sofisticati studi di RM cosiddetta “funzionale” si possono rilevare le aree corticali che si attivano mentre svolgiamo una certa attività (il paziente svolge quella data attività come sentire dei rumori, persino degli odori, o chiedere di muovere una mano, un piede o anche i muscoli della bocca, mentre è sottoposto alla risonanza magnetica funzionale, cosicché lo scanner evidenzia le aree che si attivano in tempo reale). Inoltre, con un altro tipo di studio di RM chiamato DTI (diffusion tension imaging) si può rielaborare la mappatura tridimensionale delle fibre nervose (trattografia), ovvero dei fasci di sostanza bianca (costituita dalle terminazioni dei neuroni rivestite di guaina isolante di mielina), così da scegliere la traiettoria chirurgica che possa maggiormente preservare i fasci di connettività delle funzioni motoria e sensitiva (fascio piramidale), del network del linguaggio (fascicolo arcuato), per la visione (radiazioni ottiche).

Ricevere questo tipo di modello tridimensionale del cervello è essenziale per il neurochirurgo, a cominciare dalla scelta dell’accesso chirurgico meno invasivo; inoltre consente di predire quale può essere l’esito clinico del paziente dopo la chirurgia, per discutere con lui dei rischi e benefici dell’intervento.

 

INTELLIGENZA ARTIFICIALE PER LO STUDIO DEL GLIOBLASTOMA

Un team multidisciplinare di neurochirurghi e neuroradiologi dell’Università Cattolica-Policlinico A. Gemelli ha messo a punto un algoritmo di machine learning che rende possibile supportare attivamente le scelte terapeutiche, personalizzando – nel caso di pazienti con tumori cerebrali aggressivi – la tempistica dell’intervento chirurgico e dei trattamenti successivi.

L’algoritmo è stato sviluppato dalla dottoressa Grazia Menna, una delle giovanissime specializzande in Neurochirurgia dell’Università Cattolica presso il Dipartimento di Neuroscienze, Organi di Senso e Torace della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, di cui è direttore il Professor Alessandro Olivi, Ordinario di Neurochirurgia alla Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Cattolica. L’algoritmo si basa su un campione multicentrico di oltre 400 pazienti, e i risultati dello studio, di cui è primo autore il dottor Giuseppe Maria Della Pepa, docente delle Scuole di Specializzazione in Neurochirurgia Neuropsicologia dell’Università Cattolica e Neurochirurgo presso la Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, sono stati pubblicati sulla rivista Neurosurgery. Lo studio è stato selezionato come miglior paper di neuro-oncologia nel 2022 dal CNS (Congress of Neurological Surgeons Americano) e premiato a San Francisco in sede congressuale lo scorso mese di ottobre.

 

“L’utilizzo del machine learning aiuta a valutare i dati clinici, radiologici e della chirurgia – spiega Gaudino – e cercare di stratificare in modo affidabile i pazienti con glioblastoma in sottoclassi prognostiche, identificando quelli a più alto rischio di recidiva precoce”.

L’uso di questo strumento di intelligenza artificiale consente quindi di modulare l’aggressività terapeutica da riservare al singolo paziente in base al suo tumore. “Se il paziente ha un’elevata possibilità di recidiva precoce, daremo più peso alla sua qualità della vita, sottoponendolo a un intervento meno aggressivo – spiega la dottoressa Gaudino -. Se l’algoritmo ci suggerisce una prognosi più favorevole, ci indirizzeremo verso una resezione più ampia e terapie più aggressiva. Avere un’idea della prognosi ci guida inoltre nella tempistica del follow up”.

 

Tutti questi approcci tecnologici sono utili per identificare la sede del tumore, i rapporti con le strutture adiacenti, le dimensioni e definirne l’eziologia e il grado di aggressività. Questo è essenziale per la successiva decisione terapeutica, distinguendo per esempio una “lesione non evolutiva” che necessita solo di controllo, da una “lesione di dubbia evoluzione” che necessita di attento monitoraggio per definire la velocità di crescita, da una “lesione aggressiva” che deve essere trattata.

 

“Oggi – conclude Gaudino – possiamo avvalerci anche di metodiche altamente specializzate che danno informazioni ultrastrutturali, cellulari, sulla neogenesi, sui neurometaboliti che contiene il tumore. Questo permette una maggiore accuratezza diagnostica, riveste un potenziale ruolo prognostico, e risulta indispensabile nella pianificazione di una chirurgia (presurgical planning) che massimizzi l’outcome del paziente minimizzando gli effetti indesiderati”, con l’obiettivo di migliorare la prognosi di questi pazienti che resta attualmente sempre molto negativa.

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