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Peste suina, Cia agricoltori: “Il virus dilaga nel reatino e minaccia il centro Italia. Più risorse per evitare la fase tre emergenziale”

Incrementare le risorse stanziate dal Governo nel Decreto per la costruzione di recinzioni negli allevamenti suini e indennizzare al 100% le aziende colpite nelle zone rosse (Piemonte, Liguria, Lazio), come richiesto anche dal governatore Zingaretti. E’ questo l’appello del neopresidente di Cia-Agricoltori Italiani, Cristiano Fini, dopo il pericoloso ritrovamento di una nuova carcassa di cinghiale infetta da Peste suina africana (PSA) a 100km dalla zona rossa capitolina, nel reatino. L’obiettivo è di evitare danni irreparabili che portino alla fase 3 dell’emergenza, con il passaggio del virus al maiale. Fini auspica anche un maggiore coinvolgimento delle associazioni agricole e il sostegno della polizia provinciale nei piani regionali di abbattimento selettivo dei cinghiali a contrasto della PSA. La presenza del virus in focolai distanti centinaia di chilometri dimostra come il patogeno riesca, ormai, a spostarsi con grande facilità su tutto il territorio. “Gli attuali 15 milioni per la misure di biosicurezza negli allevamenti non sono più sufficienti -dichiara Fini- ora che la PSA dilaga nel Lazio e sta pericolosamente minacciando Umbria, Abruzzo e Toscana, mettendo a rischio una popolazione nazionale di 9 milioni di capi”. Malgrado l’impossibilità del salto di specie all’uomo, la trasmissione della PSA ai suini è velocissima, come testimoniato dai 200 milioni di capi abbattuti in passato in Cina. Questo nuovo caso a Rieti mette in pericolo un prodotto tipico come il guanciale amatriciano e tutti i salumifici della zona, che rischiano di bloccare in via preventiva la movimentazione delle carni suine, suscitando allarme anche nelle Regioni adiacenti: 860 allevamenti e 190mila capi in Umbria (rinomata per la lavorazione del maiale) e altre 800 con 70mila suini, in Abruzzo. “Il Governo metta in campo tutti gli strumenti a disposizione della struttura commissariale -prosegue Fini- prima che metta a repentaglio tutto il comparto suinicolo nazionale, da cui dipendono 11 miliardi di fatturato e 70mila addetti nella filiera delle carni suine, punta di diamante del Made in Italy. Sono a rischio 21 Dop e 12 Igp che rendono la nostra salumeria unica al mondo, con un valore annuo complessivo di 1,6mld di export”. L’importanza della filiera è confermata anche dai consumi nazionali, considerando che -secondo Cia- i prodotti a base di carne suina rappresentano circa l’8% degli acquisti nel carrello della spesa degli italiani. Cristiano Fini non ritiene sufficienti neppure i 25 milioni stanziati dal Decreto governativo -peraltro ancora non liquidati- per indennizzare le aziende agricole colpite dalle restrizioni nelle zone rosse. Non basteranno, infatti, a compensare i costi sostenuti dagli allevatori per la macellazione preventiva di circa 13mila suini sani (con divieto di ripopolamento delle stalle), lo stop alla movimentazione delle carni suine e persino quello alla commercializzazione dei foraggi (paglia, fieno). Oltre all’impossibilità per molti produttori di poter svolgere le attività multifunzionali tipiche delle strutture agrituristiche (ricezione, ristorazione e didattica). “Il problema della fauna selvatica non si può risolvere solo con il miglioramento della gestione dell’inefficienze nello smaltimento dei rifiuti nei centri urbani -conclude Fini-. Siamo ora di fronte a un’emergenza che richiede risposte straordinarie come un depopolamento dei cinghiali, non solo nelle aree delimitate”. Già ora, senza un unico suino infetto e con la malattia circoscritta agli ungulati, Cina e Giappone hanno chiuso le frontiere ai prodotti della filiera suina italiana e molti altri Paesi potrebbero bloccare le transazioni commerciali finché la situazione epidemiologica non sia chiarita e le misure di contrasto alla diffusione del virus non siano attuate con efficacia.

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