Politica

Accordo Ue sui migranti, la narrazione scomoda e il lavoro che l’Italia deve ancora fare

di Natale Forlani

Le reazioni a caldo sull’intesa raggiunta dal Consiglio dei ministri europei sulle politiche per l’immigrazione e l’asilo, con una votazione a maggioranza qualificata, il voto contrario della Polonia e dell’Ungheria e l’astensione di Malta, Bulgaria, Lettonia e Slovacchia, oscillano tra l’apprezzamento del compromesso raggiunto e la presa d’atto del definitivo accantonamento della proposta originaria avanzata nel 2020 dalla Commissione europea per la riforma del Trattato di Dublino 3. Le discordanze risultano particolarmente accentuate in Italia in relazione alla mancata accettazione della redistribuzione obbligatoria delle quote degli immigrati irregolari approdati nei Paesi di prima accoglienza. Oggetto storico della contrapposizione con i Paesi del centro nord e dell’est europeo che rimproverano a quelli del sud Europa, in particolare alla Grecia e all’Italia, di non applicare in modo rigoroso quanto previsto dai regolamenti europei. Regole che assegnano al primo Paese di accoglienza l’obbligo di verificare i requisiti di protezione internazionale degli immigrati irregolari, di rilasciare il permesso di soggiorno e di accogliere definitivamente quelli che hanno avuto un riscontro positivo, di rimpatriare gli altri nei Paesi di origine. Nella narrazione italiana prevalente il comportamento di questi Paesi viene rappresentato come il frutto di atteggiamenti egoistici e antistorici. Trascurando il fatto che buona parte di essi, in particolare quelli della vecchia Europa, registrano tassi di accoglienza dei profughi in rapporto alla loro popolazione di gran lunga superiori a quello dell’Italia. E soprattutto che si sono dovuti accollare in via di fatto negli ultimi 10, circa 400 mila immigrati approdati sulle nostre rive e successivamente transitati in altri Paesi europei per raggiungere parenti o conoscenti (i cosiddetti dublinanti che, secondo i regolamenti europei vigenti, dovrebbero ritornare nel Paese europeo di prima accoglienza). Il compromesso raggiunto, come vedremo, è anche il frutto del reciproco riconoscimento delle criticità che hanno impedito di trovare un’intesa in grado di rafforzare il ruolo delle Istituzioni europee in materia di immigrazione, finora confinato nell’ambito dell’ attuazione dei trattati internazionali in materia di accoglienza dei profughi e delle regole per la circolazione interna di coloro che hanno ottenuto il permesso di soggiorno per motivi di asilo e di protezione internazionale. Il passo in avanti sulle regole in materia di procedure di riconoscimento e di accoglienza valorizza le convergenze già raggiunte per rafforzare i compiti dell’Agenzia europea per l’asilo e della Polizia di frontiera (Frontex) finalizzate e per avviare il confronto con il Parlamento europeo per riformare il Trattato e i Regolamenti di Dublino. La nuova intesa ribadisce per i Paesi di primo ingresso degli immigrati irregolari il vincolo di organizzare l’accoglienza, di accertare i requisiti di protezione per il rilascio del permesso di soggiorno e di espellere o rimpatriare quelli privi dei requisiti richiesti. Un vincolo che, per alcuni aspetti viene rafforzato dall’obbligo dei Paesi aderenti di applicare delle procedure accelerate (massimo 6 mesi per l’insieme degli adempimenti) per le verifiche sugli immigrati irregolari che presentano: rischi per la sicurezza; hanno illegalmente attraversato le frontiere con il rilascio di dichiarazioni false; si rifiutano di collaborare con le autorità preposte o provengono da nazioni che registrano percentuali di riconoscimento inferiori al 20% dei richiedenti asilo. L’intesa si propone di costruire un sistema europeo per l’accoglienza di queste persone e per la gestione delle procedure, in grado di assicurare queste prestazioni per almeno 30 mila persone, ampliabili fino a 120 mila nel corso dei prossimi anni. Questi centri saranno distribuiti tenendo conto degli arrivi e dei respingimenti registrati negli ultimi 3 anni. La soluzione raggiunta prefigura anche un ruolo europeo per l’identificazione degli immigrati rintracciati nelle acque di sicurezza e ricerca (Sar) funzionale a orientare nel futuro la redistribuzione di questi immigrati. Accantonato definitivamente l’obiettivo di vincolare tutti i Paesi aderenti ad accogliere quote di immigrati sulla base criteri precostituiti, l’obbligo di contribuire in modo solidale alla causa viene declinato in due direzioni: la predisposizione di programmi minimi di redistribuzione su base volontaria (30 mila iniziali, con la possibilità di un allargamento dei numeri sulla base di esigenze aggiuntive, e di ulteriori interventi più vincolanti per l’insieme dei Paesi nel caso di un mancato raggiungimento per almeno il 60% dell’obiettivo previsto), attraverso l’erogazione di risorse equivalenti da parte dei Paesi (20 mila euro per ogni potenziale immigrato non accolto). I Paesi che hanno accolto gli immigrati fuoriusciti da quello di prima accoglienza (i cosiddetti dublinanti) possono richiedere la riammissione nel Paese europeo di provenienza o compensare il numero con la quota dei ricollocamento a loro carico. Per come vengono descritti nel Comunicato finale, molti di questi propositi possono essere interpretati in modo ambivalente. Condizione che non garantisce un percorso in discesa per la loro attuazione, Questo vale soprattutto per i Paesi che hanno votato contro, o che si sono astenuti con diverse motivazioni annunciando l’esercizio del diritto di veto nelle sedi preposte. Per alcune disposizioni, ad esempio l’attuazione delle procedure accelerate, i tempi di attuazione si preannunciano lunghi e per alcuni aspetti i propositi, in assenza di una revisione dei trattati europei, risultano poco compatibili con gli ordinamenti costituzionali dei singoli Paesi un materia di tutela dei diritti soggettivi delle persone. Altre, come l’individuazione dei Paesi extracomunitari di primo approdo e di transito, per rimpatriare gli immigrati irregolari, analogamente ai Paesi di origine, richiedono accordi con gli stessi che, allo stato attuale, appartengono al novero delle buone intenzioni. Tanto da delegare a ogni Paese aderente l’incombenza di identificare i Paesi considerati agibili e sicuri con i quali sottoscrivere intese. Una risposta all’altezza dei problemi? Se consideriamo i numeri dell’accoglienza nel corso del 2022 (956 mila comprese Svizzera e Norvegia) probabilmente no. Ma il cambio di fase ci predispone anche ad affrontare con un approccio innovativo le criticità future, come insegna la positiva reazione che si è verificata per l’accoglienza dei profughi ucraini. Il contributo dell’Italia al raggiungimento dell’intesa è stato decisivo. In particolare per la scelta di campo di privilegiare il rapporto con gli altri 3 grandi Paesi (Germania, Francia e Spagna) che ha comportato la rinuncia all’obiettivo del ricollocamento obbligatorio degli immigrati in cambio di un approccio più sostanziale e che può essere assicurato dalla convergenza operativa sul fronte interno e internazionale tra le grandi nazioni. Nel nostro ambito le conseguenze sono più rilevanti. Mette la parola fine alla narrazione sui presunti egoismi degli altri Paesi europei e ci pone di fronte all’esigenza di migliorare la qualità e l’efficacia delle nostre politiche migratorie per l’accoglienza dei profughi.

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