Cronaca

Caso Eitan, udienze concluse. Sentenza entro due settimane. Tornerà il bimbo in Italia?

Con una seduta durata oltre 12 ore si è chiusa la notte scorsa la terza e ultima udienza al Tribunale della famiglia di Tel Aviv sulla vicenda di Eitan Biran, il piccolo sopravvisuto alla tragedia del Mottarone. “Ora gli avvocati – ha detto Shmuel Moran, legale di Aya Biran Nirko, zia paterna del bambino che ha la sua tutela – inoltreranno le loro conclusioni finali alla giudice che poi dovrà andare a sentenza”. È bene evidenziare che il tribunale nella sua decisione si muove nel contesto normativo stabilito dalla Convenzione dell’Aja sul tema della sottrazione dei minori. Sul punto è chiarissimo quanto si legge sul quotidiano Avvenire: Eitan è cittadino italiano, la sua residenza abituale è l’Italia, il giudice italiano ha già deciso per l’affidamento provvisorio alla zia paterna Aya che risiede in Italia. Il giudice israeliano non do- vrebbe avere altra scelta: rimpatrio immediato. Dovrebbe. Perché quello che capita frequentemente ad altre centinaia di bambini sottratti ogni anno dal nostro Paese di cui non si parla quasi mai, va purtroppo in un’altra direzione. Innanzi tutto ci sono problemi interpretativi della Convenzione dell’Aja che suggerisce al giudice chiamato a decidere sull’eventuale rimpatrio di valutare se esistono elementi pregiudizievoli per il minore nel caso di rientro. I dubbi sollevati dal nonno di Eitan sul funzionamento della giustizia in Italia e l’iscrizione del piccolo a una scuola di ispirazione cattolica – scelta contestata dalla famiglia materna – potrebbero essere punti a favore della richiesta di lasciarlo in Israele? La discrezionalità offerta dall’articolo 13 della Convenzione è amplissima. Il giudice può opporsi alla richiesta di rientro se considera «fondato il rischio, per il minore, di essere esposto, per il fatto del suo ritorno, a pericoli fisici e psichici, o comunque di trovarsi in una situazione intollerabile». O ancora, se accerta «che il minore si oppone al ritorno». Ma come valutare qual è l’opinione di un bambino di sei anni? L’accordo raggiunto nei giorni scorsi in Israele secondo cui il piccolo, fino all’udienza di venerdì, ha trascorso tre giorni con una famiglia e per tre con l’altra, non mette al riparo da decisioni che potrebbero far slittare ulteriormente i tempi. Il giudice, applicando il dettato dell’articolo 13 della Convenzione, potrebbe voler accertare la volontà del piccolo con una perizia, incaricando i servizi sociali israeliani. E passerebbero altre settimane, se non mesi. “La Convenzione parla chiaro. Il contenzioso – osserva ancora l’avvocato Gonnelli – deve concludersi in sei settimane. A seguito della decisione di primo grado, generalmente si arriva a un secondo grado di giudizio. Ma in Italia questo non succede, la legge 94 non lo prevede. Dopo il primo grado, in Italia si può solamente ricorrere in Cassazione”.

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