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Clima, l’Europa è in ritardo sugli obiettivi “green”

di Giuliano Longo

E’ in fase di pubblicazione il primo rapporto della Unione Europea, una valutazione effettuata dal principale organo consultivo dell’UE in materia di scienze climatiche, nel quale si   analizza come l’Europa possa raggiungere l’obiettivo della neutralità climatica entro il 2050. La bozza giunta sui tavoli della redazione di POLITICO.eu, è trapelata del manifesto elettorale del 2024 del Partito Popolare Europeo.

In oltre 350 pagine, il Comitato Consultivo Scientifico composto da 15 fra i massimi esperti climatici, presenta una serie di raccomandazioni per correggere la rotta in ogni settore dell’economia, sollecitando un nuovo impegno dai Governi per nuovi impegni anche se il costo politico dell’azione sarà elevato.

Venendo ai dati risulta che il ritmo con cui vengono ridotte le emissioni di gas serra deve immediatamente raddoppiare se l’UE vuole raggiungere l’obiettivo di ridurre le emissioni del 55% nel 2030, rispetto ai livelli del 1990.

L’accelerazione è iniziata, ma gli attuali piani nazionali sono sufficienti solo per raggiungere un taglio del 49-51%. Situazione ancor più sconfortante in vista dell’obiettivo di zero emissioni netti entro il 2050 imposto dalla normativa UE. , dato che tutti i Paesi della UE sono nettamente in ritardo rispetto agli obiettivi.

Negli ultimi quattro anni Bruxelles ha adottato una serie di norme sul clima, ma ora le Capitali devono integrarle nella legislazione nazionale e apportare le modifiche necessarie all’interno del proprio Paese. Molti Stati, ad esempio, non hanno rispettato la scadenza dello scorso anno per la presentazione in bozza del loro prossimo piano climatico, osserva il rapporto.

Il Consiglio afferma che se i governi non consegnano piani sufficientemente ambiziosi entro la scadenza di giugno di quest’anno, è tempo che la Commissione dia un giro di vite – anche, se necessario, avviando procedure legali che potrebbero portare a cause e multe.

La Commissione che uscirà dalle prossime elezioni europee, secondo gli scienziati, dovrà compiere progressi urgenti nella revisione delle norme UE sulla tassazione dell’energia, tra cui l’aumento delle aliquote fiscali minime per i combustibili fossili e la riduzione delle esenzioni fiscali per settori come l’aviazione.

Un’altra promessa che l’attuale Commissione ha a malapena mantenuto è la strategia “Farm to Fork” per rendere il sistema alimentare europeo più sostenibile, dove sono stati raggiunti ben pochi degli obiettivi proposti nel 2020.

Le emissioni agricole sono rimaste sostanzialmente invariate negli ultimi 20 anni e l’UE non sta facendo passi nella giusta direzione, afferma il rapporto. I sussidi all’agricoltura premiano ancora le pratiche agricole ad alta intensità di emissioni come la produzione di bestiame e non sono collegati ad alcun obiettivo di riduzione. Allo stesso tempo, Bruxelles ha rimandato a tempo indeterminato le proposte chiave per affrontare il consumo alimentare sostenibile e incoraggiare diete più sane e a base vegetale.

Il rapporto avverte che l’UE deve tagliare la produzione e il consumo di prodotti come carne, latticini e uova se vuole avvicinarsi agli obiettivi raccomandati dal Consiglio per il 2040. Dare un prezzo alle emissioni è uno dei modi per farlo, secondo il rapporto del comitato, che suggerisce che l’UE dovrebbe “avviare ora i preparativi in vista dell’introduzione di strumenti di fissazione dei prezzi” nel settore alimentare e agricolo.

Tuttavia non si può evitare che le politiche volte ad una ripresa economica creeranno sconvolgimenti il cui onere ricadrà ingiustamente sui lavoratori a basso reddito, perché, ad esempio, il nuovo prezzo del carbonio imposto dall’UE sui combustibili per riscaldamento, assorbirà una quota maggiore del reddito familiare nelle case povere.

In tutta l’Unione, gli elettori sono preoccupati per il costo di queste politiche che si accumulano alle pressioni inflazionistiche e l’estrema destra fa appello a queste preoccupazioni attaccando le misure ambientali. Il rapporto rileva che l’UE ha cercato di fornire un risarcimento alle persone più colpite, in particolare attraverso il suo Fondo sociale per il clima, ma avanza il dubbio che il fondo potrebbe non avere risorse sufficienti.

Gli scienziati hanno dedicato 20 pagine del rapporto alle varie “leve” che l’UE può utilizzare per eliminare l’inquinamento da carbonio dal settore energetico, ma notevole per la sua assenza da questo elenco, è l’energia nucleare.

Gli scienziati hanno spiegato questa esclusione con il fatto che il nucleare “è in generale calo dal 2006” e considerati i “lunghi tempi di realizzazione” dei progetti, questa fonte di energia non potrebbe svolgere alcun ruolo nello spingere l’UE verso i obiettivi climatici a breve termine. Incanalare i soldi dell’UE per il clima nell’energia nucleare è stata una battaglia continua tra il governo francese favorevole al nucleare e i tedeschi profondamente scettici.

Il rapporto rileva anche che con case e auto più piccole gli europei dovrebbero consumare meno energia, mentre il consumo di carne è solo uno dei settori in cui il comitato consultivo ritiene che Bruxelles dovrebbe intervenire per incoraggiare gli europei ad adottare uno stile di vita più sostenibile.

Il rapporto suggerisce che i governi potrebbero modificare la tassazione per incoraggiare le persone a trasferirsi in appartamenti più piccoli – che richiedono meno energia per il riscaldamento – una volta che i figli se ne vanno, o incentivare l’acquisto di auto elettriche più piccole ed efficienti rispetto ai SUV a emissioni zero.

Infine per raggiungere gli obiettivi climatici, l’UE deve eliminare quasi completamente l’uso di carbone e gas fossile nella produzione pubblica di elettricità e calore entro il 2040, ma un blocco di Paesi Europei è già sul piede di guerra contro questa misura.

La posizione dell’UE anche sul ruolo del gas fossile è ambigua, e porta a costosi vincoli infrastrutturali e istituzionali con un ritardo nell’eliminazione dei combustibili fossili. Uno dei motivi principali è che i membri della Unione continuano a investire nel gas sotto forma di sussidi ai combustibili fossili, aumentati in seguito alla crisi energetica del 2022. Misure forse temporanee, ma il Comitato non vede un chiaro piano di eliminazione graduale nella maggior parte degli Stati membri.

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