Esteri

Dieci anni di sangue per i difensori dell’ambiente nel mondo

 

Sono 1733 gli assassinati nel mondo per il loro impegno nella difesa dei loro territori e delle loro comunità dal 2012 al 2021. Le cifre sono fornite dal rapporto dell’ong Global Witness.
 Le vittime sono giornalisti, sindacalisti, attivisti sociali o ambientali, esponenti politici, membri delle comunità indigene, contadini, guardiaparchi. Tutti uccisi dai sicari di imprese – spesso multinazionali – senza scrupoli, oppure da coloni che per sopravvivere distruggono l’ambiente o contrabbandieri, membri di bande paramilitari o narcos. Spesso, poi, gli assassini sono agenti di polizia, militari o comunque emissari dei governi locali o nazionali. Il 2021 è stato uno degli anni peggiori, con circa 200 morti. Un decimo delle vittime sono donne, per lo più indigene.
 Guidano la triste classifica è il Messico, con ben 54 vittime; a seguire la Colombia con 33 e il Brasile con 26 omicidi; seguono le Filippine con 19, il Nicaragua con 15, l’India con 14, l’Hunduras e il Congo con 8.
 Circa 50 delle persone uccise nel 2021 erano piccoli agricoltori, travolti dall’agrobusiness, le grandi piantagioni che producono prodotti destinati all’esportazione o all’industria e assorbono migliaia di chilometri quadrati di terre. 
Un numero equivalente di vittime, spiegano gli autori del rapporto, è legato alle attività di imprese impegnate nello sfruttamento delle risorse naturali – dalla deforestazione, all’estrazione di minerali, gas e petrolio – oppure nella realizzazione di dighe e infrastrutture di vario genere. 
Come già appare evidente dai numeri del 2021, la maggior parte degli omicidi di difensori dell’ecosistema si concentra in America Latina, quasi il 70% del totale. I due terzi degli omicidi sono avvenuti in Messico dove le popolazioni indigene sono state aggredite anche dai cartelli della droga oltre che dalle imprese minerarie. In Brasile l’era del presidente di estrema destra Bolsonaro ha portato ad un aumento della violenza contro i difensori dell’ambiente e in particolare contro i protettori dell’Amazzonia. Anche in Colombia il 2021 la a maggior parte degli attacchi mortali hanno preso di mira attivisti, membri delle comunità indigene, contadini e leader delle comunità locali che si oppongono ai narcos e alle milizie delle grandi compagnie. 
In India i difensori dell’ambiente sono vittime delle istituzioni e dei corpi repressivi dello stato. L’episodio più tragico risale al 22 maggio del 2018 quando la polizia ha attaccato violentemente una manifestazione a Thoothukudi, nello stato meridionale indiano del Tamil Nadu, uccidendo 11 persone e ferendone altre 100 che protestavano contro un impianto di produzione di rame, lo Sterlite Copper, di proprietà della multinazionale “Vedanta Limited”. Più si intensifica la crisi climatica, più aumenta lo scontro tra multinazionali e Stati per il controllo della terra e delle risorse, e più gli attivisti e le comunità che difendono i territori e gli ecosistemi sono considerati un ostacolo da rimuovere a qualsiasi costo.
 La corruzione e la connivenza tra gli interessi imprenditoriali, quelli delle bande criminali e quelli delle leadership politiche concedono agli assassini e ai loro mandanti una generalizzata impunità.

G.L.

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