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Gaza, la debole influenza diplomatica  della Turchia nel conflitto  Hamas Israele

 

di Giuliano Longo

L’attacco inaspettato e raccapricciante di Hamas l’11 ottobre. 7 e lo sforzo sproporzionato di Israele per rimuovere il gruppo dal potere a Gazacostituiscono un momento di svolta. Se il mito di un esercito e di un’intelligence israeliana invincibili è infranto, anche gli sforzi di Tel Aviv per la normalizzazione arabo-israeliana sono interrotti, mente gli stati arabi sono preoccupati per l’ampliamento del conflitto regionale.

Molti nel Sud del mondo sono delusi dal sostegno che gli Stati Uniti e l’Unione Europea danno a Israele,senza considerare che la prevalenza di sentimenti anti-immigrazione, xenofobi e islamofobici diffusi in Occidente, rischiando far diventare Gaza una questione interna negli Stati Uniti e in Europa ed uno scontro con le forze fliopalstinesi che si vanno agitando in tutto l’Occidente.

Anche il governo turco vede le  conseguenze del conflitto come momento critico per il Medio Oriente anche se Ankara è stata cauta condannando il massacro di civili nella Striscia – sia purese senza nominare esplicitamente Hamas-  ma invitando entrambe le parti alla moderazione.

Va precisato che a differenza degli alleati occidentali della Turchia, Ankara non considera Hamas un’organizzazione terroristica, anzi, nel 2018 Erdoğan lo descrisse come parte della resistenza palestinese che difende “la patria palestinese contro una potenza occupante”.

La Turchia è stato il primo paese a maggioranza musulmana a riconoscere Israele nel 1949 e  anche tra i primi ad auspicare  uno   Stato di Palestina, ma, nonostante gli stretti rapporti economici, diplomatici e di difesa con Israele, i momenti di confronto non sono mancati anche prima di Erdogan.

Oggi l’AKP, il suo partito, considera legittimo   Hamas che ha vinto le elezioni legislative palestinesi del 2006 che, in tutto  il Medio Oriente, vennero considerate “libere, giuste e sicure”. Mentre gli Stati Uniti e l’Unione Europea hanno subordinato il riconoscimento della vittoria di Hamas alla “rinuncia alla violenza e al terrore, all’accettazione del diritto di Israele all’esistenza e al disarmo”.

Con l’ascesa di Erdogan la Turchia si è proposta come un “pacificatore nella periferia del sistema internazionale”tentando di ottenere un posto al sole anche nel conflitto russo/ucraino. In passato le  sue relazioni diplomatiche con Israele hanno subito una flessione  con l’attacco alla flottiglia di Gaza che ha ucciso nove attivisti turchi filo-palestinesi nel 2010, ma dopo un decennio di relazioni gelide, i rapporti diplomatici sono stati ripristinati nel 2022.

Infine, la salvaguardia dei diritti della Palestina e dei palestinesi fa parte dell’interesse del partito di Erdogan a difendere gli interessi dei musulmani in tutto il mondo, nella convinzione  che la liberazione dei musulmani dal dominio culturale e politico occidentale, sia già iniziata in Turchia grazie al Presidente.

Ma l’ideologia non è l’unica ragione della simpatia degli islamisti sunniti per Erdoğan (e per la Turchia), contano molto anche gli interessi. Dal 2020, la Turchia ha intrapreso un’offensiva per rompere un decennio di isolamento regionale. Ma Il cambiamento della sua politica estera è stato imposto dalle sue difficoltà economichedi Ankara, il riallineamento geopoliticonella regione in seguito agli accordi di Abrahamfra Israele e stati arabi e infine il riavvicinamento del governo siriano ai governi regionali e la recente ricucitura dei legami tra Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti con il Qatar a suo tempo da loro sanzionato.

Per tutte queste ragioni Ankara  ha preso le distanze dagli arabi islamici per ricucire le sue relazioni con gli attori regionali, compreso Israele. Anzi il governo turco, secondo quanto riferito, avrebbe chiesto anche ai Fratelli Musulmani e ai membri di Hamas di lasciare la Turchia. Ma proprio la guerra A Gaza  ha rivelato i limiti degli sforzi con Israele, che ha già respinto la proposta di mediazione di Ankara.

Altro sego di debolezza, se non di irrilevanza, che  Il Segretario di Stato USA Antony Blinken ha saltato la Turchia nel suo giro diplomatico , corteggiando i paesi arabi della regione per garantire che  l’accesso umanitario al valico diRafah sia garantito, mentre lavora per il rilascio degli ostaggi.

Nelle ultime settimane Ankara ha invece adottato un tono sempre più critico nei confronti di Israele. La notte del contestato attacco all’ospedale arabo al-Ahli, che Erdoğan ha descritto come “l’ultimo esempio di attacchi israeliani privi di umanità”. Ci sono anche state manifestazioni presso i consolati israeliano e americano a Istanbul e nelle basi militari USA di Malatya e Adanae Israele ha chiesto ai suoi cittadini e ai suoi diplomatici  di lasciare la Turchia “il più presto possibile”.

L’insistenza della Turchia per una soluzione a due Stati si intreccia con la sua critica al sistema internazionale. Ankara critica spesso la struttura del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unitecon lo slogan“il mondo è più grande di cinque”e richiede un ordine internazionale che “tratta ogni nazione allo stesso livello e in cui ogni paese possa sentirsi sicuro e un partner alla pari”.

Dietro queste dichiarazioni si nasconde l’opposizione della Turchia ad un ordine mondiale guidato dagli Stati Uniti, nella convinzione che “l’Occidente manchi di pensiero strategico e si sia sempre più estraniato dal resto del mondo di fronte a varie questioni, tra cui le relazioni con la Cina, l’immigrazione e il terrorismo e lo spostamento della gravità economica dall’Occidente all’Oriente. “

Per Ankara, il sostegno inequivocabile e incondizionato che l’amministrazione Biden dà a Israele conferma questa convinzione. Innescando una convergenza tra le politiche di Turchia, Egitto, Arabia Saudita e altri paesi. Inoltre  la maggior parte degli attori politici e dei media turchi tende a vedere il recente conflitto a Gaza come uno scontro tra l’Occidente (guidato dagli Stati Uniti) e l’Oriente.

Al di là delle sue critiche contro la mancanza di una leadership americana che faccia pressione su Israele per un cessate il fuoco, Ankara è preoccupata che una forte presenza degli Stati Uniti nel Mediterraneo orientale sia dannosa per i suoi interessi regionali. Anzi quasi tutti i partiti turchi ritengono che  il ritorno degli Stati Uniti nella regione sia un atto di deterrenza non solo contro l’Iran e i suoi alleati, ma anche contro la Turchia.

Vi è poi il timore  che una presenza americana più forte possa ostacolare gli sforzi di Ankara per impedire l’autonomia curda sotto la guida del Partito dell’Unione Democratica e delle Unità di Protezione Popolare nel nord della Siria, che la Turchia vede come un’estensione del Partito dei Lavoratori del Kurdistan.

Se l’influenza di Turca  è scarsa in Medio Oriente e nei confronti delle parti in guerra nell’attuale conflitto, Ankara può tuttavia continuare una politica di copertura nel Mar Nero grazie alla Convenzione di Montreux(sull’accesso agli stretti)  e alla sua adesione alla NATO, che tuttavia non rappresentano  fattori utili nel caso della guerra a Gaza.

Quindi la palla di una eventuale diplomazia attiva per la soluzione del conflitto sta passando ad altri attori mediorientali quali Iran, Quatar, Egitto, mentre dietro le quinte siriane lavorano,con la massima discrezione, anche i russi.

aggiornamento ore 15.24

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