Cultura, Arte e Libri

HOT SPOT. Caring For a Burning World. L’”Artivismo” ai tempi della COP27.

Alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea una mostra collettiva per denunciare i cambiamenti climatici.

 

di Sara Valerio

 

Le opere di 26 artisti provenienti da tutto il mondo e appartenenti a generazioni differenti, sono esposte allo GNAM di Roma, fino al 26 febbraio 2023, nella mostra “Hot Spot. Caring for a burning world”, per denunciare, con la forza del linguaggio estetico, le criticità del nostro tempo. Mostrano un mondo che brucia, che si scioglie, in balia dei conflitti sociali, ma anche la possibilità di assumersi responsabilità individuali e collettive, la volontà di proteggere e amare la Terra. In questi giorni in cui è in corso la Conferenza mondiale sul clima a Sharm El Sheik, il curatore dell’esposizione Gerardo Mosquera ci ricorda di “smettere di negare, perché ogni giorno abbiamo evidenza di ciò che sta succedendo”. Come indicato dal Rapporto sullo Stato del clima globale nel 2022 della World Meteorological Organization delle Nazioni Unite presentato proprio alla COP27, i segni rivelatori e gli impatti dei cambiamenti climatici stanno diventando sempre più drammatici. Gli ultimi otto anni sono tra gli otto più caldi mai registrati; le ondate di calore estremo, la siccità e le inondazioni devastanti dello scorso anno hanno colpito milioni di persone e sono costate miliardi. Questi fenomeni ci atterriscono, e allo stesso tempo, ci sembrano così fuori dalla nostra portata, da lasciarci indifferenti. E allora l’arte, col suo potere evocativo e emozionale può farci risvegliare, prendere coscienza e spingere all’azione. Mosqueta parla di “Artivismo”, un attivismo insito nei meccanismi propri dell’arte, che comunica attraverso la sensibilità, la poesia, il simbolismo. E che chiama, chi ne fruisce, all’interpretazione”. Il percorso espositivo, pensato appositamente per gli spazi della Galleria Nazionale,svela un mondo composito, e riunisce le reazioni di artisti molto diversi tra loro, capaci di immaginare una via per la rinascita, attraverso messaggi potenti dai linguaggi diversi (foto, video, sculture). Dall’installazione in ferro e neon raffigurante la Terra (Hot Spot III, 2009), che dà il nome alla mostra, contrapposta al pannello glaciale nel Salone Centrale della Galleria, alle foto che testimoniano la devastazione causata dalle inondazioni, ai canti del videoclip (River, 2015) che si ripete in loop e che allude al legame primordiale e armonioso con la natura, e infine ai Gorilla (sculture di Davide Rivalta, 2022) che accolgono i visitatori sulla scalinata d’ingresso, imponenti e minacciosi, ma protettivi e benevoli. “Gli artisti recepiscono i problemi del nostro tempo attraverso una sensibilità estetica e un simbolismo marcato, e attraverso i loro lavori ci spingono a immaginare un futuro diverso”così chiarisce Mosqueta. Va infine sottolineato il ruolo che i tradizionali istituti di cultura e sapere possono avere all’interno della società. Un ruolo attivo e dirompente, che dia spazio al potere politico e di denuncia dell’arte. Cristiana Collu, direttrice del Museo parla di attivismo estetico e descrive la mostra come un “progetto che aiuti a capire che un museo può raccontare il momento critico che stiamo affrontando”. “Trattare temi del genere è difficile, si rischia di privilegiare un approccio documentaristico, lasciando indietro l’aspetto poetico e suggestivo. Recuperiamo l’incanto e l’immaginazione, attraverso lo sguardo degli artisti. È un messaggio di speranza, il nostro, una visione positiva. Perché “l’amore è profondamente politico. Quando capiremo questa verità avverrà la nostra rivoluzione”, prendendo in prestito le parole scritte nel 2001 da Bell Hooks.

https://lagallerianazionale.com/

La crescita vertiginosa della popolazione umana e la sua espansione vorace e incontrollata con il conseguentesfruttamento delle risorse ambientali, portano in primo piano anche la relazione con gli altri esseri viventi che abitano la Terra e che, durante il lockdown, si sono visti riappropriarsi di spazi vitali apparendo in maniera sorprendente lungo le vie cittadine. Queste apparizioni ricorrono nelle sculture di Davide Rivalta, i cui gorilla – animale in via di estinzione – accolgono il pubblico all’ingresso della Galleria. La crisi della biodiversità, l’estinzione vertiginosa di specie animali e vegetali e la critica allo sviluppo violento delle aree urbanizzate sono al centro dei lavori di Daphne Wright e Ida Applebroog, ed emergono con sottile ironia nel piccolo roadrunner fermo al confine tra Stati Uniti e Messico ritratto da Alejandro Prieto. Non mancano le contraddizioni, come nell’immagine inquietante del video di Jonathas de Andrade in cui il pescatore abbraccia e accarezza il pesce che sta facendo agonizzare. L’aumento della popolazione sul Pianeta va di pari passo con la sovrapproduzione di beni e di conseguenza con l’aumento di sprechi e di rifiuti: è la spazzatura rappresentata con eloquente eleganza da Chris Jordan nella sua massività. I crescenti processi di urbanizzazione e tecnologizzazione del mondo hanno scarsa considerazione per l’ambiente naturale, dando vita a fenomeno inquietanti come le maree oscure ritratte da Allan Sekula. Le piante agitate dalle macchine nelle sculture in folle movimento di Rachel Young sembrano commentare questo aspetto, così come la manipolazione genetica e il passaggio ai cyborg e alla robotizzazione. La lirica visiva di Johanna Calle agisce in modo contrario: costruisce un albero con una macchina da scrivere. Gli alberi sono i protagonisti anche delle opere di Cecylia Malik che porta l’attenzione sul disboscamento indiscriminato avvenuto in Polonia, contrapponendo alla morte dei tronchi recisi, la vita, con le madri che, sedute su quello che resta della foresta, allattano i propri figli. Michelangelo Pistoletto con cinque tronchi di albero specchianti crea un’immagine aperta sulle relazioni tra presenza umana e ambiente. Nel suo dipinto, Alex Cerveny trasforma la silhouette umana in un albero da frutto, circondato da uccelli. Altre opere ricordano come troppo spesso l’uomo si ponga in una posizione di superiorità quasi patriarcalenei confronti della natura,come fa John Baldessari nel suo video imponendosi su di essa. Cristina Lucas reagisce proprio alla dimensione patriarcale con un femminismo radicale: nella sua ormai classica video-performance distrugge una copia del “Mosè” di Michelangelo, ribellandosi alle tavole della legge dettate dal potere. Il videoclip del duo Ibeyi sembra esprimere l’opposto del controllo gerarchico sulla natura in un canto rivolto al fiume, come fosse Ochún, la dea yoruba dell’acqua dolce, a cui cantano le artiste in lingua nigeriana. Su un’intera parete della galleria le acque fluttuano nel cielo, in una cosmologia liquida e poetica, dipinta appositamente per questa mostra da Sandra Cinto. Nkanga Otobong utilizza le possibilità semantiche del linguaggio astrattoper esprimere partecipazione totale alla dimensione naturale, vicinanza materiale e poetica all’ambiente. L’opera di Andrea Santarlasci può essere vista invece come una delicata espressione del contrasto tra natura e mondo costruito. Ayrson Heráclito e Joceval Santos, artisti e sacerdoti candomblé, compiono un grande ebbó, una “pulizia” cerimoniale del mondo accuratamente preparata secondo le tradizioni yoruba in Brasile. L’opera ibrida così la ritualità sacra afro-brasiliana con la performance, nel tentativo immaginifico di liberare la sfera terrena dai mali che la affliggono. Altri artisti, invece, alludono a una coesistenza armoniosa con la natura, come nella potente fotografia delle dita di yucca messa in scena da Raquel Paiewonski, dove la mano (lo strumento biologico che ha creato l’Homo Sapiens) diventa una radice commestibile che era il principale alimento coltivato dai Tainos nei Caraibi precolombiani, e che continua a essere importante per la dieta della regione oggi. Glenda León suggerisce una rinasciatanel suo pianoforte fiorito. La vita ha un’enorme capacità di resilienza, che la fa riemergere in situazioni avverse o insolite, offrendo sempre una speranza. Si tratta di opere basate sulla pluralità metodologica, sulla potenza comunicativa dell’immagine, sulla poesia e sulla spinta semantica. Alcuni lavori sono stati creati senza l’intenzione di commentare i problemi ecologici, ma sono stati inclusi per la loro capacità di contribuire all’articolazione del tema. In definitiva, ogni opera d’arte è polisemicae sempre aperta all’interpretazione. “Hot Spot. Caring for a burning world” non propugna slogan, piuttosto vuole prendersi cura del mondo anche attraverso l’arte, invitando a riflettere in modi molto diversi e soggettivisui gravi problemi del pianeta nella loro complessità e non solo sul piano ecologico e sociale.

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