Economia e Lavoro

Il Nobel all’Economia: stridente contraddizione

di Fabrizio Pezzani*

Anche quest’anno puntualmente il premio Nobel  viene assegnato a tre studiosi degli Stati Uniti ( Ben Bernake, Douglas Diamond, e Philip Dybvig )  come ormai da sempre ed incuranti del fatto che quel modello socioculturale rappresentato da un pensiero unico ha portato il paese che l’ha cavalcato al caos .  I premiati di quest’anno in Scienze Economiche, si legge nelle motivazioni, “hanno migliorato significativamente la nostra comprensione del ruolo delle banche nell’economia, in particolare durante le crisi finanziarie migliorando il modo con cui affrontarle”  . Nel pieno di un caos finanziario ingovernabile che peggiora ogni giorno si fatica a capire la soluzione culturale premiata per affrontare il disastro  dei mercati razionali che non esistono nella realtà ma solo nella mente di chi li studia . L’economia è una scienza sociale e non esatta o razionale perché da sempre condizionata dall’emozionalità dell’uomo, eppure di fronte all’evidenza dei fatti gli interessi ne cancellano l’ovvietà. Tra i tre è quantomeno curioso il premio a Ben Bernake che nel pieno della crisi di Lemhan ha salvato le cinque banche compromesse perché “ to big too fail “ scaricando sul debito pubblico quasi 11.000mld / $ ; ma la gravità del comportamento di Bernanke come ricordava Guido Rossi fu che con quella mossa cancellò tutte le normative antitrust e anti monopolio creando un sistema libero da quelle regole che lui invece avrebbe dovuto regolare . Il nobel in economia ,per capire le sue anomalie ,  richiede una breve illustrazione della sua storia e di quella del suo fondatore Alfred Nobel, nel cui nome vengono assegnati ogni anno i premi dall’Accademia delle Scienze di Stoccolma . Nobel morì in solitudine il 10 dicembre 1896  dilaniato dal timore che la sua scoperta della dinamite avrebbe potuto essere uno strumento di rovina e non di benessere per la società  così  lasciò il suo patrimonio in dono per la costruzione società ideale  in grado di realizzare i valori universali della libertà, dell’uguaglianza, della solidarietà. Nel suo testamento olografo Nobel precisava che, con il ricavato del patrimonio, ogni anno si dovesse riconoscere un premio agli studiosi che nei loro campi avessero contribuito maggiormente a creare le condizioni «del benessere» della società. Accanto alle scienze positive – Chimica, Fisica, Medicina – veniva attribuito il premio per la Letteratura  e quello a cui forse teneva di più, per la Pace, assegnato «alla persona che più si sia prodigata o abbia realizzato il migliore lavoro ai fini della fraternità tra le nazioni per l’abolizione o la riduzione di eserciti permanenti» .Nel 1969 venne istituito il premio per l’Economia, non previsto da Nobel e finanziato dalla Banca di Svezia, tra molte controversie espresse proprio dagli studiosi di quella materia. In effetti Nobel aveva previsto riconoscimenti per scienze misurabili e premi improntati alla spiritualità dei sentimenti – Letteratura e Pace – mentre l’Economia, nuova arrivata, si collocava in un campo intermedio: in quanto scienza sociale e morale non poteva essere trattata solo come scienza positiva e razionale come poi sarebbe stato. Il premio, come aveva ammonito Von Hayek , vincitore del premio nel 1974, avrebbe contribuito a modificare il Dna dell’economia, portandola solo nel mondo delle scienze esatte; il passaggio ha trasformato una scienza strumentale in scienza finalistica , l’economia diventa un fine e l’uomo un mezzo esattamente il contrario del desiderio di  Nobel che viene così tradito .  Dal 1969 ad oggi gli statunitensi e gli studiosi collegati hanno fatto la parte del leone: nei cinquantatre anni di assegnazione dei Nobel per l’Economia hanno conseguito, uno o più di uno di loro, per quarantotto  volte il premio. Una monocultura senza contraddittorio. Solo in tre anni non hanno vinto (1969, 1974 e 1988) e la tendenza si è accentuata dopo la caduta del Muro di Berlino, quando i premi sono piovuti sugli studiosi di finanza che definivano i mercati finanziari razionali ed esatti senza possibilità di errore. La finanza è diventata una sorta di arma egemone al di sopra degli Stati, in grado di esercitare pressione sulle politiche delle singole nazioni e sulle scelte globali. Si è instaurato un sistema di relazioni tossiche tra politica, finanza e accademia che nel 2008 è infine esploso e non riconoscerlo e gravemente colpevole. Davvero si può pensare che l’anima di questo modello culturale sia in grado di ispirare sentimenti come la bontà, l’altruismo, la solidarietà, il rispetto dell’umano come voluto da Alfred Nobel?  L’asimmetria nei giudizi e nei premi  la troviamo , curiosamente , in quelli assegnati alla Letteratura con un’evidenza disarmante: infatti dalla fine degli anni Sessanta gli Usa, che sembravano onnipotenti, non hanno vinto nella sostanza alcun vero premio per la Letteratura , Toni Morrison (1994) esprimeva il dolore razziale delle minoranze, ora maggioranze, di colore; Saul Bellow (1976) e Isaac B. Singer (1978) erano espressione della cultura dell’Europa, dove avevano vissuto a lungo prima di trasferirsi negli Usa. Gli altri premi in questi anni sono spesso andati Paesi diversi, in cui quel tipo di “benessere” espresso dalla finanza era assente o comunque non rilevante come negli Stati Uniti: Irlanda, Perù, Cile, Santa Lucia, Polonia, Romania, Grecia, Turchia…. Un modello culturale che ha assunto una dimensione globale, dilagando anche negli altri Paesi per imitazione o per opposizione ed ancora oggi di fronte al dramma della guerra dovremmo domandarci come fare a ritrovare quel senso di solidarietà e di rispetto personale che troppi anni di guerra nel nuovo secolo  sembra che abbiano cancellato.

*Professore Emerito Università Bocconi

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