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Il Papa e il caporalato: “Dignità calpestata dal lavoro schiavo nel silenzio complice e assordante di molti”

(Red) “Lei non pone una domanda oziosa, perché in gioco c’è la dignità delle persone, quella dignità che oggi viene calpestata con il ‘lavoro schiavo’, nel silenzio complice e assordante di molti”. Lo dice Papa Francesco a La Stampa, rispondendo all’interrogativo lanciato dallo scrittore Maurizio Maggiani che aveva dichiarato “vale la pena produrre la bellezza grazie agli schiavi?”, in riferimento all’inchiesta sul caporalato a Grafiche Venete. Francesco risponde a Maggiani distillando uno dei pensieri-chiave del suo magistero. “Lei – riconosce il Papa a Maggiani – non pone una domanda oziosa, perché in gioco c’è la dignità delle persone, quella dignità che oggi viene troppo spesso e facilmente calpestata con il ‘lavoro schiavo’, nel silenzio complice e assordante di molti. Lo avevamo visto durante il lockdown, quando tanti di noi hanno scoperto che dietro il cibo che continuava ad arrivare sulle nostre tavole c’erano centinaia di migliaia di braccianti privi di diritti: invisibili e ultimi – benché primi! – gradini di una filiera che per procurare cibo privava molti del pane di un lavoro degno”. Ma in effetti, prosegue Francesco, associare questo tipo di infamia alla letteratura “è forse ancora più stridente” se quella che il Papa definisce “pane delle anime, espressione che eleva lo spirito umano”, viene “ferita dalla voracità di uno sfruttamento che agisce nell’ombra, cancellando volti e nomi”. Dunque se si pubblica qualcosa che poggia su un’ingiustizia è “di per sé ingiusto” e “per un cristiano – ricorda il Papa – ogni forma di sfruttamento è peccato”.
La soluzione non sta però nell’arrendersi. “Rinunciare alla bellezza sarebbe una ritirata a sua volta ingiusta, un’omissione di bene”, afferma Francesco, che suggerisce una reazione basata su due verbi. Il primo è “denunciare” i “meccanismi di morte”, le “strutture di peccato”, arrivando a scrivere “cose anche scomode per scuotere dall’indifferenza, per stimolare le coscienze, inquietandole perché non si lascino anestetizzare dal non mi interessa, non è affare mio, cosa ci posso fare se il mondo va cosi?”. Il secondo verbo è “rinunciare”. Nel ringraziare Maggiani per aver scritto ciò che ha scritto senza stare a calcolare i “ritorni di immagine”, Francesco sostiene che oltre al coraggio della denuncia ci vuole quello della rinuncia. Rinuncia “non alla letteratura e alla cultura – dice – ma ad abitudini e vantaggi che, oggi dove tutto è collegato, scopriamo, per i meccanismi perversi dello sfruttamento, danneggiare la dignità di nostri fratelli e sorelle. È un segno potente – insiste – rinunciare a posizioni e comodità per fare spazio a chi non ha spazio”. Arrivare a “dire un no per un sì più grande”, a fare “obiezione di coscienza per promuovere la dignità umana”.
Il Papa della Chiesa povera per i poveri ribadisce di amare Dostoevskij “non solo per la sua lettura profonda dell’animo umano e per il suo senso religioso, ma perché scelse dì raccontare vite povere, ‘umiliate e offese’”. Una considerazione da cui scaturisce un invito pressante: davanti ai tanti umiliati e offesi di oggi, senza che praticamente nessuno li renda “protagonisti, mentre soldi e interessi spadroneggiano”, la cultura – è l’appello di Francesco – “non si lasci soggiogare dal mercato”.

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