Politica

Il Premierato è servito: più poteri a chi guida Palazzo Chigi

di Viola Scipioni

Il 9 aprile, il governo e il relatore Alberto Balboni hanno dato il loro consenso all’emendamento presentato da Alleanza Verdi-Sinistra riguardo la richiesta di scioglimento delle Camere da parte del Presidente del Consiglio. Se fino a poco tempo fa era presente molta tensione a riguardo, il governo e Balboni hanno accettato il compromesso: il testo Casellati, infatti, prevedeva il ricorso diretto alle elezioni anticipate in caso di revoca della fiducia al Presidente del Consiglio; adesso, il premier eletto può richiedere lo scioglimento delle Camere al Presidente della Repubblica anche se le dimissioni non dovessero essere “volontarie”. Come molti costituzionalisti hanno fatto notare, esistono vari casi in cui il Presidente del Consiglio può dimettersi “non volontariamente”, come ad esempio nel caso di perdita di fiducia da parte del Parlamento.

Ciò non toglie, comunque, che la norma del premierato è destinata ancora a cambiare, soprattutto per quel che concerne l’articolo 4: non è tardato ad arrivare, infatti, durante la giornata di mercoledì 10 aprire, un nuovo emendamento sulla gestione della crisi di governo che molto probabilmente subirà altrettanti cambiamenti una volta presentato in aula al Senato. È stato Marcello Pera (FdI) a richiedere una riformulazione del testo più chiara, mentre Francesco Boccia (Pd) ha paragonato tutto il disegno di legge ad una «deriva orbaniana imposta dal governo Meloni», considerando che questa riforma sembra proprio voler togliere poteri al Presidente della Repubblica. Non è la prima volta che in Italia si tenta una riforma del genere: si pensi alla crisi di governo del 1998 in cui il Partito della rifondazione comunista propose la concessione di maggiore rilevanza al Presidente del Consiglio o al referendum costituzionale del 2006 nel quale vinsero i “no”.

È evidente che Meloni comprende benissimo il rischio che c’è dietro ad una riforma di questo tipo: seppur riguardo presupposti completamente diversi, lo stesso Matteo Renzi risente ancora oggi gli strascichi della bocciatura del suo referendum costituzionale del 2016 dal quale probabilmente non si riprenderà mai più. Obiettivo della premier, quando riesce facilmente a giungere a compromessi anche con i più scettici di Alleanza Verdi-Sinistra, è quello di assicurarsi il voto favorevole di più parlamentari all’opposizione possibili, per evitare di arrivare ad un referendum vero e proprio nel quale tutti i cittadini saranno chiamati ad esprimere la propria opinione. Anche se, come Renzi ha riconosciuto più volte, quello del 2016 è stato più un referendum per mandare a casa il Presidente del Consiglio dei tempi, è comunque rischioso chiamare i cittadini al voto quando si tratta della Costituzione, nonostante sicuramente sorprenda che una riforma apparentemente così “progressista” provenga proprio da uno dei partiti più conservatori d’Italia, forse perché alla fine tanto progressista non è.

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