Economia e Lavoro

Inflazione, le associazioni datoriali restano prudenti. I giudizi di Confesercenti, Confcommercio e Coldiretti

 

di Chiara Napoleoni

Alcune delle principali associazioni di rappresentanza delle imprese restano prudenti sulla flessione netta dell’inflazione. Prudenti perchè temono nuove impennate legate ai rischi concreti dell’aumento dei prezzi delle materie prime, che potrebbero far ripartire il caro-vita. Accanto a questo c’è poi da tenere ben presente il Pil, rimasto praticamente fermo, con la conseguente mancata ripartenza dei consumi. Ma andiamo a vedere nel dettaglio le singole posizioni, partendo dalla Confesercenti che legge i dati Istat di novembre come un ulteriore rallentamento dell’inflazione, dovuto soprattutto ai beni energetici e agli alimenti lavorati. Il quadro resta tuttavia incerto con i rischi di aumento dei prezzi delle materie prime ipotizzati dalla BCE, con un incremento del PIL fermo quest’anno tra lo 0,6 e lo 0,7% e soprattutto con la mancata ripartenza dei consumi. Resta quindi acquisito il dato già ampiamente previsto per l’anno, che indica nel 5,7% la variazione media del tasso di inflazione. Le stime attuali elaborate dall’Ufficio economico Confesercenti si mantengono, proprio a causa di elementi di forte incertezza a livello internazionale, su un’ipotesi del 3% annuo per il 2024. A destare grande preoccupazione sono però i consumi delle famiglie, il cui incremento dovrebbe fermarsi sotto il +1%, sia per il 2023 che per il 2024, con un impatto importante sulla crescita generale dell’economia italiana. Proprio la rinnovata debolezza della spesa delle famiglie, che non potranno intaccare ulteriormente i risparmi come fatto nel 2023, dovrebbe portare nel 2024 l’aumento tendenziale del Pil ad attestarsi a +0,6%. Uno scenario di crescita, quindi, da zero virgola. Il Governo con la manovra di bilancio – conclude Confesercenti – ha preso atto di questa difficile situazione, assumendo interventi tesi al recupero del potere d’acquisto delle famiglie. La portata delle misure è però limitata e l’impatto espansivo sul Pil non supererà i due decimi di punto. Poi la Confcommercio con il suo Ufficio Studi che sottolinea “il rapidissimo rientro dell’inflazione”. “Il calo su base mensile registrato a novembre dai prezzi al consumo, il secondo consecutivo, ha riportato il tasso di crescita su base annua sui valori di marzo del 2021. Il dato, migliore rispetto alle nostre stime, pur riflettendo principalmente la flessione dei prezzi dell’energia contiene elementi che lasciano sperare in un andamento contenuto anche nei prossimi mesi”. “L’inflazione di fondo continua, infatti, nel percorso di rientro a conferma di come le tensioni accumulate nel biennio precedente si siano ormai sostanzialmente esaurite”. “Queste tendenze si confermano, sia pure con toni lievemente più contenuti, a livello dell’eurozona consolidando le attese di una politica monetaria da parte della BCE meno restrittiva”.” L’insieme di questi elementi potrebbe portare, nei prossimi mesi, ad una evoluzione meno asfittica dei consumi con moderati impulsi positivi sulla crescita”. Da registrare poi le valutazioni della Coldiretti che entra nel merito dei numeri Istat, almeno nella filiera che le appartiene. Per una delle associazioni che rappresentano gli agricoltori si registra unacontrotendenza rispetto all’andamento generale aumentano del 7,8% i prezzi delle verdure e del 10,7% quelli della frutta anche per effetto dell’andamento climatico sfavorevole che spinge complessivamente gli alimentari in salita del 6,1%. E’ quanto emerge dall’analisi della Coldiretti sui dati Istat relativi all’andamento dell’inflazione a novembre che risulta in calo allo 0,8%. Un andamento che – sottolinea la Coldiretti – ha portato al contenimento dei consumi alimentari con gli italiani che spendono di più per mangiare di meno mentre i produttori agricoli non coprono i costi di produzione. In questo contesto è importante il raddoppio dei fondi per l’agroalimentare con 2 miliardi in più stanziati per gli accordi nella filiera per salvare la spesa delle famiglie italiane e sostenere l’approvvigionamento alimentare del Paese di fronte alle tensioni internazionali provocate dalla guerra. L’agroalimentare Made in Italy ha dimostrato concretamente la propria capacità di saper cogliere l’opportunità del Pnrr con richieste di investimenti superiori alla dotazione – continua Coldiretti – e l’incremento dei fondi va nella direzione auspicata di aumentare la produzione in settori cardine, dalla pasta alla carne, dal latte all’olio, dalla frutta alla verdura e “raffreddare” il carovita che pesa sulle tasche degli italiani. Un’occasione unica, che non va sprecata per crescere e garantire una più equa distribuzione del valore lungo la filiera, dal produttore al consumatore. In tale ottica i contratti di filiera – conclude Coldiretti – sono fondamentali per lo sviluppo di prodotti 100% italiani per dare opportunità di lavoro e far crescere l’agroalimentare Made in Italy, in un contesto di grande instabilità internazionale.

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