Esteri

La battaglia sul diritto d’aborto infiamma la campagna elettorale per le elezioni di Midterm. Kamala Harris: “Se la Corte annulla sentenza, attacco alla libertà”

La vicepresidente Usa Kamala Harris si schiera contro l’ipotesi secondo la quale la Corte Suprema sarebbe intenzionata a revocare il diritto all’aborto, cancellando la sentenza Roe vs Wade che nel 1973 lo aveva legalizzato. “E’ un attacco alla libertà e al diritto fondamentale di autodeterminazione di tutti gli americani”, ha detto la numero due dell’amministrazione di Washington, intervenendo a un evento dell’organizzazione legata ai dem Emily’s List nella capitale. Dunque si infiamma nuovamente negli Usa la battaglia sul diritto all’aborto, con effetti politici e sociali destinati a segnare la campagna elettorale per le elezioni di Midterm ma anche delle prossime presidenziali nel 2024. Con uno scoop, Politico ha pubblicato una prima bozza delle motivazioni con cui cinque dei nove giudici della Corte suprema si apprestano a cancellare la ‘Roe v. Wade’, la storica sentenza della stessa corte che nel 1973 sancì il diritto all’interruzione di gravidanza per tutte le donne americane, senza tuttavia che sia mai diventata una legge.

Sulla fuga di notizie, il presidente del massimo organismo giudiziario Usa, John Roberts, ha ordinato un’inchiesta, definendola una “violazione di fiducia unica ed eclatante” e “un affronto alla corte”. Pur confermando l’autenticità del documento, Roberts ha voluto precisare che esso “non rappresenta una decisione della Corte o la sua posizione finale e quella definitiva dei suoi membri sul caso”. Ma l’orientamento della maggioranza dei saggi sembra chiaro. Il 22 gennaio del 1973 la Corte suprema americana stabilì che una donna aveva il diritto di abortire “senza limiti eccessivi da parte del governo”. Una sentenza epocale la ‘Roe v. Wade’ che ha cambiato il corso della storia dei diritti civili negli Stati Uniti.  L’apripista fu la 22enne Norma McCorvey che, con lo pseudonimo di Jane Roe, nel 1970 disperata per una terza gravidanza non voluta, vittima di povertà e droghe, fece causa al procuratore del Texas, dove l’aborto era illegale, Henry Wade. Dopo una battaglia di tre anni guidata dalle sue avvocatesse, Sarah Weddington e Linda Coffee, Norma ottenne il diritto all’interruzione di gravidanza con 7 voti a favore contro due, diventando un simbolo per tutte le donne. La Corte Suprema non legalizzò l’aborto di per sé, bensì decise che il diritto all’interruzione di gravidanza rientrava in quei diritti alla privacy garantiti dal 14esimo emendamento, puntualizzando che non è un “assoluto” ma deve essere bilanciato dai governi con regole che “tutelino la salute delle donne e del feto”. Norma è morta nel 2017 in una casa di cura in Texas dopo che negli anni ’70 dovette partorire il bambino che non voleva. Il giudice Harry Blackmun argomentò che negare l’accesso all’aborto provoca dei danni che comprendono la minaccia alla salute fisica e mentale delle donne, costi finanziari e stigma sociale. “Quindi noi concludiamo che il diritto alla privacy personale comprende la decisione di abortire”, scriveva sostenendo che questo diritto deve “prevalere sugli interessi regolatori degli Stati”. Anche la successiva decisione del 1992 (Planned Parenthood v. Casey) ha mantenuto quel diritto. La sentenza stabilisce che gli Stati non possono applicare limitazioni all’aborto che creerebbero un “peso non dovuto” sulle singole donne che ricorrono all’interruzione di gravidanza. Negli ultimi decenni, negli Usa, sono stati effettuati oltre 50 milioni di aborti ma di recenti, con un picco durante la presidenza di Donald Trump, sono aumentati gli Stati che hanno aggirato la sentenza imponendo durissime restrizioni sull’interruzione di gravidanza. Sono 26 in totale, con Texas, Oklahoma e Mississippi che hanno deciso le regole più restrittive. Nove Stati hanno dei limiti sull’aborto che precedono la sentenza ‘Roe v. Wade’, e che non sono ancora stati applicati ma che potrebbero diventare effettivi nel caso la Corte Suprema dovesse ribaltarla e 13 hanno dei cosiddetti ‘divieti dormienti’ che entrerebbero immediatamente in vigore dopo un eventuale decisione dei saggi.

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